Il torrone dei morti, nella settimana che precede il 2 Novembre, compare a fine pasto su ogni tavolata tradizionale napoletana. Tutti lo conoscono: si tratta di un dolce morbido, piuttosto lungo – dai 40 ai 70 centimetri – venduto in pezzi, in fette. Lo si può trovare ovunque, dai supermercati più famosi a piccoli banchetti ambulanti. Ad oggi il torrone può avere i gusti più disparati: cioccolato, pistacchio e caffè, arricchito con nocciole, mandorle e noci.
Questa delizia è legata a leggende ed usanze dal sapore esoterico ed affonda le sue radici fino all’antichità: ma perché il “Torrone dei Morti” porta questo nome? E perché si mangia in prossimità della festa dei morti?
Il velo tra i mondi è sottile
Le leggende napoletane hanno spesso a che fare con la morte. La morte, nel folklore della Campania, non è vista come qualcosa di estraneo o mostruoso: accettata come parte conclusiva della vita, non viene rinnegata e non si popola di mostri. Napoli pullula di fantasmi ed è posta accanto alla bocca dell’inferno – qui la morte è di casa e trattata come fosse una parente o una macabra amica.
Sono molte le tradizioni religiose, leggendarie ed esoteriche che identificano, nel periodo che va dal 31 Ottobre al 2 Novembre, un periodo speciale, magico, durante il quale il velo tra il mondo dei vivi e dei morti diventa più sottile: Napoli abbraccia questa credenza.
Le tradizioni che credono che in queste date possa verificarsi un qualche contatto tra i morti ed i vivi sono diverse, lontane e disparate; per esempio, i celti chiamavano questo periodo Samhain (noto anche come “Capodanno celtico”), in Irlanda Fleadh nan Mairbh, e i cristiani sovrapposero, cercando così di sostituirle, la festa di Ognissanti e dei Morti a queste festività perché non riuscivano ad eliminare l’usanza della popolazione di rendere omaggio a queste festività pagane.
Un ponte tra i vivi ed i morti
Tutte queste tradizioni hanno in comune l’usanza di lasciare in tavola del cibo per i morti. Si crede infatti che nel periodo magico di cui stiamo parlando i morti possano attraversare più facilmente il velo tra i mondi e palesarsi ai parenti, agli amici ed agli amori che hanno lasciato nel regno dei vivi.
Per dar loro la forza di manifestarsi è necessario però lasciar loro un’offerta. A seconda del luogo e della regione, l’omaggio è diverso – in Campania il dolce prediletto dai nostri cari estinti è questo morbido torrone, forse per via della forma che ricorda un po’ quella delle tombe dove riposano i loro resti mortali; tuttavia in alcuni comuni vesuviani non disdegnano pane, olio e limone (che viene preparato e servito per loro, secondo la tradizione, nella stanza più bella della casa).
Il dolce sarebbe dunque un ponte tra i vivi ed i morti, un’offerta votiva ai defunti per far sì che, almeno per una notte, possano tornare a camminare in mezzo a noi o almeno nei nostri sogni. Ma non solo: a Castellammare di Stabia è inteso anche come segno di buon augurio. Secondo l’usanza, ogni fidanzato dovrebbe regalare alla propria amata un torrone su cui è stato scritto con la glassa il suo nome una settimana prima del 2 Novembre, per augurarle lunga vita e prosperità.
Dalle fave al cioccolato e alle nocciole
La storia di come si sia arrivati a servire ai morti un dolce a base di cioccolato e nocciole è assai intricata: tutto comincia con le fave.
Le fave hanno conquistato, col passare del tempo, un indissolubile legame con la morte.
I pitagorici credevano che le fave, in quanto dotate di profonde radici e stelo senza nodi, consentissero di comunicare col regno dei morti. Non consumavano le fave poiché, se immerse nell’acqua, rilasciavano un liquido rossastro che ricordava il sangue e per via di una leggenda che diceva che, lasciando delle fave nel letame, queste si trasformassero in una testa di neonato.
Le fave erano escluse dai riti propiziatori, divinatori e dalle offerte per via di questa loro correlazione con il regno dei morti. I romani le consideravano, a differenza dei greci, anche in maniera positiva: erano sinonimo di abbondanza, pur essendo legate alla morte, e per questo erano utilizzate durante i rituali funebri e propiziatori.
Quando sopraggiunse il cristianesimo e la festa dei morti del due Novembre, si usava mangiare ed offrire ai morti una zuppa di fave. Tuttavia, a causa del diffuso favismo – condizione medica che non permette l’assunzione di fave se non con gravissime conseguenze – si iniziò a sostituire l’uso del legume con dei dolcetti a forma di fava.
Ogni regione e luogo sviluppò nel corso dei decenni un dolce proprio, che avesse in sé dei legumi o della frutta secca (anche questa indissolubilmente legata dalla simbologia antica al regno dei morti): nacque così, in Campania, il Torrone dei Morti.
E voi? Servite in tavola il Torrone dei Morti? O rispettate la tradizione fino in fondo, lasciandolo ai vostri cari estinti?
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