La scorsa settimana su BussoLaStoria abbiamo conosciuto Francesco II di Borbone, l’ultimo Re delle Due Sicilie. Oggi incontreremo invece Giovan Battista Marino, definito famosamente dal critico Francesco de Sanctis come ““Il re del secolo, il gran maestro della parola, fu il cavalier Marino, onorato, festeggiato, pensionato, tenuto principe de’ poeti antichi e moderni, e non da plebe, ma da’ più chiari uomini di quel tempo.”
La Vita
Nacque a Napoli il 14 Ottobre 1569, forse da oriundi calabresi, e morì nella medesima città il 25 Marzo 1625 dopo vari spostamenti. Trascorse ivi i primi trentun anni di vita e la sua formazione nella città partenopea fu fondamentale, sebbene la carriera del Marino trovò spazio nel Nord prima e all’estero poi.
Nella seconda metà del 1596 Marino diventa segretario del ricco mecenate Matteo di Capua (già protettore di Tasso); pochi mesi dopo viene arrestato a causa di un aborto procurato a una donna, tale Antonella Testa, che muore in seguito all’episodio. Dopo essere uscito di prigione lo arrestano nuovamente nel 1600, questa volta a causa di un duello nel quale uccide l’avversario.
Nonostante a Napoli non fosse presente un’Inquisizione “alla maniera della Spagna” , e non ci fosse la stessa pressione del resto d’Italia sulle censure delle opere (al tempo fortissima), il Marino trascorse a Roma gli anni successivi con relativa pace. Vi giunse nel 1600 e non corse pericoli grazie ad alcune conoscenze influenti (era, infatti, in ottimi rapporti con la Chiesa). Ebbe diversi contatti con le Accademie locali, prima fra tutte l’Accademia degli Umoristi e l’Accademia Romana.
Nel 1601 stampa a Venezia le sue “Rime“, che contengono gran parte della sua produzione adolescenziale. Nel 1603 entra al servizio del cardinale Pietro Aldobrandini, nipote di papa Clemente VIII.
Alla morte di Clemente VIII, tuttavia, lo scenario per Marino (e per Aldobrandini) cambia, visto che il cardinale viene trasferito a Ravenna e il poeta napoletano è costretto a seguirlo.
Il viaggio si rivela molto disagevole, e scoprono che la città di destinazione è insalubre e povera. Da Ravenna, comunque, Marino ha l’opportunità di raggiungere con una certa facilità Bologna e Venezia, centri della stampa europea. In questo periodo Marino legge la traduzione latina delle “Dionisiache” dell’autore greco Nonno di Panopoli, che lo influenza in maniera notevole. Accompagna Aldobrandini a Torino presso la corte di Carlo Emanuele I: in questa occasione, compone il panegirico “Ritratto del serenissimo don Carlo Emanuello, Duca di Savoia“.
Nel 1615 lascia Torino e giunge in Francia, dove sin dal 1609 la regina Maria de’ Medici l’aveva invitato. Marino in terra di Francia si muove praticamente senza alcuna raccomandazione. Del 16 giugno 1615 è una lettera dell’ambasciatore fiorentino a Parigi, Luca degli Asini, nel quale annuncia l’entrata del Marino a corte, la sua introduzione per cura della Galigai, e il colloquio di un’oretta avutosi tra il Marino e la regina nel di lei gabinetto; ma anche della sua intenzione di passare in Inghilterra e nelle Fiandre.
Marino muore a Napoli il 25 marzo del 1625, di martedì santo, alle nove del mattino (pochi giorni prima aveva fatto testamento) a causa di una stranguria curata male (altre fonti parlando di un tumore ai testicoli, che avrebbe portato a un tentativo di castrarlo prima del decesso); poco prima di trapassare, per non essere nel peccato, ordina di bruciare alcuni scritti lascivi o semplicemente sentimentali, sebbene contro il parere del confessore e dei suoi amici: non tutto va’ perduto, e infatti alcune opere, come La strage degli innocenti, sono (per fortuna) salvate e pubblicate postume.
Opere ed eredità del Marino
Nel 1612 scrive “Il Rapimento d’Europa” e il “Testamento amoroso“, mentre nel 1614 dà alle stampe “La Lira“, che include le sue prime “Rime” con l’aggiunta di nuovi scritti: in totale, oltre novecento componimenti, la maggior parte dei quali sonetti, di argomento sacro, encomiastico o amoroso, raccolti a seconda dei temi (rime eroiche, rime amorose, rime marittime, e così via).
Nello stesso anno, Marino porta a termine le “Dicerie sacre“, una sorta di repertorio di prediche, diviso in tre parti (“La pittura“, “La musica“, “Il cielo“), mentre l’anno successivo si dedicata a “Il Tempio. Panegirico del cavalier Marino alla maestà christianissima di Maria de’ Medici reina di Francia & di Navarra“.
Tra il 1619 e il 1620 scrive “Lettera di Rodomonte a Doralice” e “La Galeria distinta in pitture & sculture“, oltre alla raccolta “La Sampogna‘”. Ma è nel 1623 che Marino scrive il suo capolavoro “L’Adone”: esso narra la favola della relazione amorosa tra Venere e Adone, episodio della mitologia classica: il testo è costituito da 40.984 versi ed è dedicato al re Luigi XIII di Francia e a sua madre, Maria de’ Medici. “L’Adone“, costituito da venti canti e anticipato da un proemio, doveva inizialmente contenere soltanto quattro canti: si evolsero poi in dodici e infine in ventiquattro. Questa crescita ne ha fatto l’opera più lunga della letteratura italiana.
Ci vorrebbero ore per elencare tutti gli altri componimenti e le opere minori del poeta, che per lungo tempo è stato considerato poco dalla critica in Italia e invece amatissimo nel resto d’Europa, siccome nel corso del secolo moltissimi intellettuali di ogni dove seguirono il suo esempio e il suo stile (si rifanno a lui correnti come il preziosismo in Francia, l’eufuismo in Inghilterra, il culteranismo in Spagna). Marino fu, infatti, uno dei personaggi più emblematici del Barocco: nelle sue opere emerge un uso estremo della metafora e dell’astrazione, una ricerca dello stravagante e del bizzarro e una tendenza ad abbondare ed allungare i testi fino al prolisso (L’Adone ne è la prova).
Fu uno dei motivi per cui la critica non fu molto gentile con lui e lo rivalutò soltanto nel corso degli anni ’60-70. Lo scoprirono come autore moderno, disinteressato anche se per obbligo alle questioni rilevanti del mondo: ne è emblematico il viaggio fra i pianeti di Adone guidato da Mercurio, la struttura dell’universo di Marino non è esplicitata sebbene nel mondo infuriasse il dibattito fra la teoria Tolemaica e quella Copernicana (probabilmente a lui importava poco). Centrali anche il gusto per la descrizione e per la meraviglia, che oggigiorno un po’ abbiamo perso con la nostra attenzione sempre più limitata e temporanea.
_
Continua a seguire la nostra rubrica #BussoLaStoria, rubrica di approfondimento su fatti e personaggi importanti (o anche solo curiosi) della Campania. Ogni sabato sul nostro sito e sulla pagina Facebook de La Bussola.