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Wet Floor al Piccolo Bellini: la trappola dell’informazione?

Al Piccolo Bellini è in scena, fino al 12 gennaio 2020, Wet Floor, una riflessione sui paradossi dell’informazione e sul giornalismo ai tempi di Internet. Ecco la recensione.

Wet floor è uno spettacolo impegnato, che vuole riappropriarsi della lettura e dell’interpretazione della contemporaneità. Ci riesce molto bene, perché le parole dei protagonisti rispecchiano gli interrogativi di molti sulla manipolazione mediatica.

Ecco il paradosso della comunicazione: in un mondo in cui ci crediamo iper-connessi e iper-informati, alla fine non lo siamo affatto. «Oggi se non leggi i giornali sei disinformato, se invece li leggi sei informato male» – questa la critica di Ruth (Antimo Casertano). In questo contesto, dove l’informazione è, in alcuni casi, fuorviante, i tempi di azione si restringono e, a volte, proprio questo rischia di viziare il concetto stesso di verità.

Dal titolo emblematico, poiché richiama un pavimento scivoloso che imprigiona metaforicamente la comunicazione (in realtà il giornalista), Wet Floor si basa su un testo di Fabio Pisano ed è diretto da Lello Serao, con l’interpretazione di Antimo Casertano (Ruth, l’inserviente) e Fabio Cocifoglia (Ben, il giornalista), e la partecipazione in video di Angela Bertamino e Gianluca Cangiano.

Realtà o verità?

Attraverso un’alternanza di comicità e tensione comunicativa, Wet Floor propone una riflessione sul giornalismo, sulla divulgazione ai tempi dei social, e su quei princìpi che dovrebbero, in teoria, regolare il processo di condivisione dell’informazione. Indirizzato a chi con le parole lavora, questo testo suona anche come un campanello d’allarme generale. Viviamo in un mondo dove l’informazione è a portata di click. Ma può essere vuota, a volte deviante, spesso recepita in modo passivo. Trovare la verità è, perciò, sempre più difficile.

Wet Floor non fornisce risposte; semmai, crea domande. Cos’è vero, falso, reale? Realtà e verità non sempre coincidono. Ma, alla fine, è davvero la verità la cosa più importante?

La scena

Tutto inizia in medias res. Ben (Fabio Cocifoglia), il giornalista, si presenta al pubblico con un paio di telefonate che già dipingono chiaramente il suo carattere. Ruth (Antimo Casertano) prosegue le pulizie, intrattenendosi con Ben con simpatici scambi di battute (la trama in dettaglio qui). Tuttavia, l’attenzione degli spettatori viene polarizzata anche verso un terzo protagonista: lo schermo che proietta immagini e notizie reali attraverso Breaking News 24, un canale all-news per un pubblico affamato d’informazione.

Poi, colpo di scena, Ruth è ‘presumibilmente’ l’autore di quei ‘forse’ sequestri le cui vittime ‘sarebbero’ tre giornalisti. Inizialmente attribuito alla sete di verità, il motivo del sequestro è, in realtà, più complesso, in una trama efficacemente intrecciata che lascia un finale aperto.

I due protagonisti occupano il palco, leggermente rialzato rispetto alla platea. La scena non è statica, grazie alle frequenti interazioni con l’esterno, attraverso voci fuori campo e l’immancabile schermo TV. Poi, la discussione tra Ruth e Ben alle 18 – l’ora della diretta – assume i tratti di una comunicazione di massa.

Cos’è reale?

Lo spettacolo non è tragico in sé – sebbene compaiano elementi chiave, come la pistola, la bomba, la polizia, il sequestro. Lo è, piuttosto, nel modo in cui entrambi gli attori, le cui performance sono state brillanti e coinvolgenti, sparano sul pubblico le proprie idee nei momenti di consapevolezza.

L’inserviente si scopre carnefice. O vittima? Il giornalista sembra non essere ‘innocente’. Di chi è la colpa della deriva dell’informazione? Chi costringe realmente chi a comportarsi in un determinato modo? Ne deduciamo che non tutto ciò che ‘sembra’ vero, in fondo, lo è, e questo viene evidenziato durante l’intera performance, raggiungendo l’apice nel momento della (reale?) detonazione.

La diretta in onda sullo schermo alle spalle di Ben è, poi, uno stratagemma geniale che introduce un’anomala quarta parete. La realtà è proiettata in ‘mondovisione’, mentre il pubblico assiste allo svolgimento della finzione teatrale. Non a caso, il vero momento di tensione verbale è il live.

«Si affonda in superficie»

Lo spettacolo mette in dubbio l’intero processo di informazione. Ruth incarna la figura del folle, quel personaggio che, in quanto outcast, può dire il vero. La sua prospettiva, però, sembra ‘atemporale’. Perché? Ben ci svela, forse, la dura verità del nostro tempo: non si ha più il tempo per entrare in profondità, perché la verità muore sotto i colpi della velocità. Cosa dice questo della nostra società?

Come dice Ben, bisogna arrivare primi perché se non si ha lo scoop, tanto vale dimenticare la notizia. Così, la comunicazione contemporanea rischia di essere vuota, inaccurata, meramente acchiappa-like.

Wet Floor – Ruth & Ben sul “ring”.

L’informazione diventa un terreno di guerra. Ma la guerra di cui parla Ben, quella dei mezzi di comunicazione, ha luogo anche nella stanza rappresentata sul palco che, non a caso, viene circoscritta in un rettangolo luminescente, a voler ricordare un ring di combattimento. Qui, i due ‘antagonisti’ si danno battaglia per dare un senso alla verità, vomitando parole su parole, in uno scambio comunicativo senza filtri, onesto. Chi la spunta?

La potenza delle parole

Come Ruth, ci interroghiamo sulla potenza delle parole e sulle loro conseguenze nella vita reale. Le parole sembrano innocue sulla carta. Eppure sono proiettili che possono distruggere l’obiettivo o far sì che l’obiettivo venga distrutto dalla massa.

Nemmeno le parole del testo messo in scena sono innocue. Un testo che è tanto breve quanto denso. Solo 70 minuti: la scrittura è veloce e fluida. Non ci si può distrarre perché la scena riproduce la velocità del mondo reale. Le parole sembrano esplodere a raffica dalle bocche dei protagonisti, come proiettili che colpiscono la mente dell’osservatore. Ma, in fondo, come suggerisce Ben, non sono le stesse notizie proiettili che devono centrare il lettore? Il pubblico è il target, la notizia il proiettile che deve colpire.

«La democrazia partecipata»

Il paradosso raggiunge il clou quando Ruth viene sommerso da una serie di commenti alla diretta che mettono in crisi il suo piano. Ben deve o no morire? Quei sei milioni di followers, lasciati a briglie sciolte, si schierano.

Interessante e originale questa sequenza, poiché, se da un lato rappresenta un’estremizzazione della tensione, dall’altro è quasi un intermezzo comico, che fa ridere per alcune risposte ragionevolmente ‘assurde’, proiettate sullo schermo. Risate amare, tuttavia, poiché alcuni commenti non sembrano del tutto improbabili. Per un po’, poi, cala il silenzio.

Prossime repliche al Piccolo Bellini

Giovedì 9 gennaio alle 19.

Venerdì 10 e sabato 11 gennaio alle 21:15.

Domenica 12 gennaio alle 18:30.

Clicca qui per gli spettacoli in programma al Piccolo Bellini.

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