In scena al Tram “Lumache”, il sacrificio di una madre/scrittrice che scende a compromessi pur di raggiungere il proprio obiettivo.
Niente luci spente, nessun sipario. Quando gli spettatori entrano in sala per prendere posto gli attori sono già sul palco, non c’è tempo per chiedersi: Come inizierà lo spettacolo? Quale sarà la scena iniziale? Tutto è ben chiaro da subito. Siamo in un ristorante, al centro del palco un tavolo (rotondo) apparecchiato per due. Un uomo e una donna conversano amabilmente (almeno in apparenza). La conversazione entra nel vivo, la situazione che si palesa dinanzi agli occhi di chi guarda è delle più classiche e quotidiane: c’è chi parla e chi fa finta di ascoltare e nel mentre i suoi occhi sono fissi… sull’interlocutore? No, sullo smartphone. Tre i personaggi che raccontano la pièce: Lea, Manuel ed Oscar.
Lea è una donna dotata di una profonda sensibilità e di una grande intelligenza; ma soprattutto possiede una grande dote, quella della scrittura. È una scrittrice, ma non una di quelle che pur di vendere libri va incontro alle mode del momento, è una scrittrice d’altri tempi, di quelle che non ha paura di scrivere ciò che realmente pensa, senza timore di osare e sfidare i piani alti con le sue parole; per lei un libro è:
“Un atto di giustizia”.
E proprio per questo, è già da un po’ di tempo, che nessuna casa editrice vuole pubblicare il suo nuovo romanzo e di questo ne soffre, ancor di più ora che suo figlio è gravemente malato e lei ha bisogno di una cospicua somma di denaro per poterlo curare in America. E l’editore questo lo sa e fa leva proprio su questo per raggiungere il suo scopo. Uno scopo al quale Lea si oppone con tutta la sua capacità intellettiva di far raggiungere, ahimè invano. Lea si rende conto di non essere ascoltata, di non essere compresa, di combattere contro “I mulini a vento”.
Manuel è un giovane e agguerrito editor che lavora per una grande Casa Editrice, una persona meschina, viscida, amorale, irrispettosa e volgare; uno di quelli che non si fa scrupolo a citare i bambini dell’Africa per impietosire e ad approfittare della situazione di Lea, per raggiungere i suoi squallidi piani.
Un uomo che abusa del suo potere, consapevolmente e senza il ben che minimo rimorso, per ottenere ciò che vuole, ciò che egli ritiene di meritare; perché lui ha faticato tanto per raggiungere la sua attuale posizione, ha dovuto lottare, stringere i denti, mandar giù bocconi amari, e dunque, ora che è in potere di farlo crede che i suoi comportamenti siano leciti, che egli meriti di ottenere ciò che desidera; e poco importa ciò che vuole o desidera realmente l’altra persona, lui ottiene sempre ciò che vuole perché il suo ricatto fa leva su sentimenti troppo delicati ed intimi per poter essere ignorati.
È un personaggio pieno di sé, megalomane ed egocentrico, impone il suo pensiero con voce alta e quando è il suo turno di ascoltare si dedica ad altro, a telefonare, leggere le mail, messaggiare. Incarna perfettamente la società di oggi, una società sorda per gli altri ma ottima ascoltatrice per se stessa.
C’è poi Oscar, il cameriere, il sommelier che consiglia le migliori pietanze e i giusti abbinamenti descrivendo con dovizia di particolari tutte le caratteristiche olfattive e di sapore dei vini. In apparenza è un uomo che ama il suo lavoro, trasmette passione, gioia, amore per quello che fa; in realtà, scopriamo non essere così.
Lea gli chiede perché continui con un lavoro che non gli piaccia, ma la risposta è semplice, non tutti possono avere la fortuna di poter fare il lavoro che desiderano, vuoi per esigenza vuoi per non aver voluto scendere a compromessi o non aver avuto la possibilità di scegliere, e così si sceglie un mestiere che dia dignità, da svolgere con professionalità e serietà, mostrando rispetto (a differenza di altri) per quello che la vita, comunque, di buono ci offre.
Elemento chiave di questa rappresentazione sono le lumache. Goethe diceva che:
“Le lumache sono un elogio alla lentezza, all’affrettarsi senza fretta ma senza tregua”.
Questo parallelismo tra lumaca e uomo nasce dal fatto che la frenetica società nella quale viviamo ci porta a prendere delle decisioni in maniera rapida, repentina, veloce, senza darci la possibilità di poterci soffermare a pensare, a riflettere; e così, spesso, ci ritroviamo a prendere decisioni sbagliate. Le lumache sono il simbolo della lentezza e della vulnerabilità, proprio come Lea, la quale ritiene che la velocità non si addice ai sentimenti.
Come una lumaca lei va dritta per la sua strada, con pazienza, con costanza, con sacrificio certa di raggiungere le proprie mete. Purtroppo, come nella vita, si trova di fronte a chi non aspetta altro che incontrarla per “divorarla”; si trova così dinanzi ad una decisione: scendere a compromessi per vedere pubblicato il suo romanzo ma soprattutto per ottenere un contratto che gli consentirà di curare suo figlio. La scelta di una madre, dunque, che per amore del figlio decide di sacrificare i suoi ideali e la sua morale.
Lo spettacolo si conclude con Lea che, messa alle strette, decide di accettare la richiesta dell’editore, con Manuel che pregusta divertito e soddisfatto per quello che a breve otterrà e Oscar che si sente sconfitto per un finale che sperasse fosse diverso. La scelta forzata di Lea provoca tristezza e rabbia, tristezza per una donna che se pur dal carattere forte alla fine cede alla sua etica e alla sua morale per amore del figlio e rabbia, perché per l’ennesima volta un altro vile ha ottenuto ciò che desiderava.
Come sempre, il Tram, si presta a rappresentazioni profonde, di grande spessore, che fanno riflettere e non lasciano indifferente.
Recensione a cura di Veronica Amendola
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