Si nu Mamozio!
Si nu Mamozio! Quante volte abbiamo sentito dire questa strana espressione, usata magari per riferirsi a qualcuno un po’ sciocco? Chiunque abbia sostato anche per poco in territorio Campano l’avrà udita innumerevoli volte.
Tuttavia, in pochi sanno da cosa derivi effettivamente la parola “Mamozio”: cosa – o chi – è un Mamozio? La curiosa risposta a questa domanda si trova a Pozzuoli, e #BussoLaLingua questa settimana ve la racconta.
Un console romano
La storia sulle origini della mamoziana espressione si spinge fino al 1704, anno durante il quale a Pozzuoli erano in corso degli scavi per la costruzione della chiesa di San Giuseppe.
Proprio durante questi scavi, venne riscoperta una statua senza testa, che avrebbe dovuto rappresentare un console romano: Quinto Flavio Mesio Egnazio Lolliano Mavorzio.
Stupiti ma felici di questo ritrovamento, i puteolani cercarono di rimettere a nuovo la statua decapitata costruendo per lei una nuova testa – le cose, tuttavia, non andarono molto bene.
La testa che venne infatti scolpita per sostituire quella perduta del povero Mavorzio risultò sproporzionata; era decisamente troppo piccola per il corpo sul quale venne collocata e rese grottesca l’immagine della statua.
Mamozio, il protettore delle capere, degli ‘ngiusissi e delle cofecchie
Di bocca in bocca, il nome del console Mavorzio venne ben presto storpiato in “Mamozio”. L’aria stupida e comica della statua contribuirono alla creazione del modo di dire “Si nu Mamozio!“, che appunto si usa per parlare a qualcuno che si ritiene un po’ sciocco e ridicolo – a volte, per riferirsi ad un pupazzo inespressivo.
Mamozio divenne ben presto un personaggio inventato ben caratterizzato e molto distante dal povero console: divenne infatti una sorta di antagonista di Pulcinella, una specie di suo alter-ego puteolano.
Mamozio era pettegolo e sciocco e per questo divenne il patrono delle capere, degli ‘ngiusissi e delle cofecchie (ovvero delle parrucchiere per donne – che spettegolavano spesso – dei pettegoli e di coloro che non potevano fare a meno di farsi gli affari altrui).
I viaggi di Mamozio tra fruttivendoli e calamità naturali
Successivamente, la statua di Mamozio venne spostata nella piazza del Mercato, e qui divenne anche il protettore dei fruttivendoli.
Questi erano soliti lanciare alla statua delle offerte di fichi e pomodori; uno di questi fruttivendoli, vedendo che alla statua rimanevano attaccati solo i fichi più maturi, avrebbe esclamato:
Santu Mamozio mio, ‘e bbone t’ ‘e magne e ‘e toste m’ ‘e manne arrete! // Mio Santo Mamozio, i (frutti) buoni te li mangi e mi mandi indietro i più duri!
Questa esclamazione sarebbe diventata, nel corso degli anni, una sorta di formula da recitare vicino alla statua per assicurarsi la protezione del patrono.
Probabilmente l’abitudine dei verdummari puteolani di lanciare frutta e verdura contro la statua fu decisiva nella scelta di spostare la statua, che venne posata nell’Anfiteatro di Pozzuoli.
La figura di Mamozio, però, non è a quanto pare solo dispensatrice di buona sorte: quando nel 1964 la statua venne spostata dall’Anfiteatro, la cittadina di Pozzuoli venne infatti colpita da una serie di calamità naturali, cessate solo nel momento in cui la statua venne riportata al proprio posto nel 1987.
Oggi questa strana statua è conservata nel Museo Archeologico dei Campi Flegrei.
Anche a Ponza, Procida ed Isernia
Il personaggio di Mamozio non è noto solo a Pozzuoli.
Divenne infatti popolare a Ponza – dove venne ritrovata una statua senza testa a cui venne dato arbitrariamente il nome di “Mamozio” – a Procida – dove veniva invece chiamata “Mamozio” una maschera decorativa posta sul portone del Palazzo Emanuele – e Isernia – dove quattro statue togate romane senza testa, vicine al mercato, vennero chiamate “Mamozi”.
Insomma, la storia di questo termine e di questo personaggio un po’ strano è davvero particolare; chissà cosa ne avrebbe detto o pensato il povero console Mavozio.
Di certo non si sarebbe mai potuto aspettare che la statua che lo ritraeva si sarebbe affrancata dalla sua identità per conquistarne una propria – invero assai meno onorevole e decisamente poco lusinghiera…
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