sabato, Novembre 23, 2024
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La recensione: Moonlight Motel, Parigi. L’intervista all’autore Sergio Gilles Lacavalla

Nel nostro indecifrabile tempo c’è una percezione nascosta della realtà che sta fermentando in mezzo alla confusione anestetizzata del rumore contemporaneo. Un modo di sentire le cose e gli uomini a cui la letteratura ostinata sta dando forma. Una nuova letteratura si aggira come uno spettro lucido per vivisezionare un’epoca morente e nascente. Sergio Gilles Lacavalla è uno scrittore di questa avanguardia.

Gilles ha composto drammi teatrali, le pièce del “ciclo del rimpianto e della perdita”, prima del suo ultimo lavoro letterario, “Moonlight Motel, Parigi”, già anticipato in due brevi frammenti su “Verde”. Alla scrittura con le parole, affianca o, meglio, sostituisce quella con le immagini fotografiche. Scrive con i segni e con la luce. Il romanzo è stato pubblicato nel marzo 2020 da Wojtek edizioni che, nell’esangue e ripetitivo panorama editoriale italiano, rappresenta un’esperienza audace e fortemente qualitativa.

“Moonlight Motel, Parigi” è un’opera anarchica, caotica, magmatica. Una “sinfonia” rock e un viaggio di andata e ritorno all’inferno, o forse di sola andata. È un libro difficile. Scomodo. Per il povero lettore, conturbante e talvolta anche disturbante. Maledetto e lirico. Ho dovuto ingerirlo a dosi, come un veleno. Avevo bisogno di distanziarlo e di ritornarci, allo stesso tempo. Ho amato molto le improvvise folgorazioni poetiche.

La prosa di Lacavalla è originalissima, materica, repentinamente rarefatta. C’è il corpo, i corpi, e c’è l’anima ferita. L’uso delle metafore è suggestivo, a tratti musicale. C’è la musica più delle parole. E per ascoltare Moonlight ho dovuto abbandonare la gabbia della logica. Non sarei altrimenti andato da nessuna parte, meno che mai dentro all’essenza di questo viaggio sonoro. I segni di Sergio Gilles possiedono una cifra inconfondibile, sua. Mi sono dimenato tra straniamento e musicalità. Alla fine ho scelto di fluire nel fluire di Moonlight. Così, come si ascolta una ballata struggente e dolente. L’incontro con l’autore è avvenuto in un iperspazio linguistico. Lui non si è sottratto. E la sinfonia è continuata.

Quando ti ha trovato la scrittura?

Scrivevo con le immagini, con la grafica, le arti figurative, poi, non ricordo quando né perché, ho iniziato a scrivere con le parole, e lì mi sono fregato: scrivevo per i giornali, ero un giornalista, e per il teatro, ero un drammaturgo, poi la narrativa. Non so se mi ha trovato preparato, ma ho reagito come ho potuto. In fondo la scrittura è una reazione, forse alla tristezza infinita della vita e all’altrettanto infinito bisogno d’amore mai soddisfatto a cui questa assurda vita ci condanna. Un’opposizione al nulla. Forse non è nulla. O non lo so.

Perché scrivere?

Non ne ho idea. Perché scrivere ancora, nel mio caso. Anche se ho smesso. Per i motivi di prima? Sarebbe meglio non farlo. La scrittura non ti rende felice. Sarebbe bello, invece, essere felici.

Parliamo dei personaggi, chi è Gilles?

Gilles è colui che arriva per condurre Jeanne in battaglia, per affiancare la sua ribellione, per proteggerla, è il suo luogotente e l’uomo che la ama più di chiunque al mondo. “Mi aspettava silenzioso da qualche parte e ora lui mi appartiene, fino alla morte”, dice Jeanne. E aggiunge: “Lui prima era un poeta, doveva essere così, uno scrittore, un letterato, il libro che aveva regalato a Zulawski, ma è stata proprio la sua poesia, nient’altro che la sua letteratura, a fargli scegliere, infine, la guerra e la violenza. Come se a forza di scrivere avesse capito che agire è l’unica soluzione”. Gilles è dunque uno scrittore e il comandante dell’esercito di Jeanne, è un fuorilegge, quando la legge è quella di un brutale stato di polizia. È un killer senza scrupoli, un terrorista, un bandito, un giustiziere, è semplicemente un uomo innamorato.

E chi è Milla?

Milla è la bambina dell’appartamento accanto a quello di Jeanne. Colei che raccoglie le sue memorie. La ragazzina come doveva essere Jeanne da piccola. La ragazzina che non parla ma comunica con la sua vicina di casa mandandole canzoni d’amore e ribellione che la spingono ad agire, a non sopportare più le offese e i soprusi del marito. Milla è la rappresentazione dell’infanzia e dell’adolescenza violate.

Nadine?

Nadine è l’ex ragazza di Gilles, il suo amore finito ma ancora presente. È colei che ha assistito al passaggio di Gilles da scrittore ad assassino, quando solo la violenza può contrastare la brutalità dell’uomo, per dirla con Jean Genet. Lei lo accetta, in qualche modo gli sta ancora vicino, anche affidandolo a Jeanne. Lei sa quanto lui possa essere spietato, perché conosce la sua pietà. Nadine è fragile, forte, sa sparare e cerca lacrime buone.

Christiane F.?

Christiane F. è una ragazza tossicodipendente che diventa subito amica di Jeanne e le mostra la durezza della sua vita attraverso la droga. Si chiama come la protagonista del libro e del film “Christiane F., noi, i ragazzi dello Zoo di Berlino” perché volevo che il nome evocasse subito una condizione. Non è lei, Christiane Vera Felscherinow, ovviamente, ma un amore che appartiene al mio passato, diviso proprio dalla droga. Molti personaggi nascondono le loro reali identità prendendo il nome da persone appartenenti alla cultura pop. Altri, invece, appaiono proprio con il loro vero nome, li ho presi e ne ho alterato le azioni per metterle al servizio della storia.

Il racconto è un sogno di Jeanne?

No. Non è assolutamente un sogno. Mai. È una visione della realtà lucidissima. Talmente lucida da essere iperrealista: è un racconto degli aventi dai toni espressionisti. Poi Jeanne i sogni neanche se li ricorda. È solo la fottuta, maledetta realtà.

Chi è Jeanne?

Jeanne è una donna annichilita dagli abusi del marito e dalla solitudine a cui lui l’ha costretta e ha lo stesso nome della pulzella d’Orléans. È una giovane donna che cerca un riscatto e giustizia in un’esistenza troppo ingiusta per poter essere ancora tollerata. E li cerca nei suoi incontri e nella ribellione violenta a cui questi la conducono. Uccide, cos’altro può fare? È una donna sola che vuole soltanto l’amore che le spetta. La sua è una guerra per l’amore, il suo e quello di tutte quelle come lei, sotto tetti d’appartamenti opprimenti ed elicotteri della polizia, nei riflessi sfiniti di lampioni, di abat-jour insanguinati e lune spezzate.

Cosa rappresenta il Moonlight Motel?

Il Moonlight Motel rappresenta un altrove impossibile da raggiungere eppure continuamente desiderato. È il luogo dell’amore, finalmente dell’amore, tra il deserto e il mare, lungo un’autostrada di cui non conosciamo il numero, ma vogliamo che ci sia. È un ricordo inventato, è il luogo di una “fuga verso dove non sappiamo, la notte è un’automobile con le poltrone di velluto e i finestrini aperti, il bar nella hall, un treno della metropolitana sopra una scogliera, su un’autostrada”. Il Moonlight Motel è il posto ignoto in cui disfare un letto con i propri corpi nudi. “Scappare-scopare”.

Chiedi molto ai tuoi lettori, esiste Il lettore? Chi è il tuo?

Chiedo molto perché penso di dare molto: la letteratura è una relazione intima tra scrittore e lettore e questa intimità richiede l’impegno e il trasporto di entrambi i ruoli. Credo che sia più bello per il lettore impegnarsi nella lettura, perché così entra realmente in relazione con lo scrittore e di questa relazione, una volta finita, gli resta qualcosa. La letteratura, come l’amore, non si deve far dimenticare. Quello tra scrittore e lettore è un rapporto d’amore, con tutte le difficoltà che questo comporta. Però è anche vero che una volta capito come ci si possa amare, allora è importante lasciarsi andare, abbandonarsi. Supera le difficoltà iniziali e lasciati andare. Se mai uno potesse avere un proprio lettore, vorrei che fosse chi alla fine sa abbandonarsi.

Il romanzo è denso di citazioni musicali, quale è il “peso” della musica nella tua scrittura e nella tua vita?

La musica è importantissima, sia nella mia vita sia nella mia scrittura. C’è sempre musica quando scrivo, a volte è un disco altre è una musica che sento in me e nelle mie parole, che le guida. Per me una bella pagina è quella che ha una sua musica. Quando faccio dei reading, li faccio sempre con una band. Molti momenti della mia vita hanno avuto la musica come ambiente.

Il corpo, così come la sessualità, è un centro dell’opera. Corpo e sesso oscillano tra distruttività e brutalità (ho sentito l’eco di Mishima), sembrano forme di un disperato nichilismo, è così? Sesso, vomito e morte stanno insieme?

Sesso, vomito e morte, già. Spesso sì, nella mia scrittura di frequente. In Francia ciò che avviene dopo l’orgasmo, la sua conclusione, può essere chiamato la petite mort. E questa piccola morte a volte è uno stato di profonda malinconia, un desiderio di morte per sfuggire alla vita quando è diventata intollerabile e si ripresenta immutata al termine di quel momento necessario. Era un’illusione, una struggente illusione. “Scappare-scopare”, morire e poi ricercare un’altra piccola morte e un’altra ancora: cercare di salvare, di tenere stretta ancora un po’ quella struggente illusione, in questa piccola morte. Ma spesso il corpo e il sesso non riescono a trovare la pace nell’amore e allora l’odio distrugge i corpi e i sensi. Il corpo ha splendidi slanci di vitalità come subisce le lesioni dei rapporti sbagliati. Jeanne spesso vomita dopo aver scopato con il marito, la sua urina lava via un orgasmo stordente e da niente, ma vorrebbe anche sentire il sapore della pipì della ragazza che sta nuda davanti alla sua finestra e Gilles desidererebbe bere la pipì di Jeanne: i liquidi corporei sono scarti, rifiuto di una situazione come bevande di desiderio, rifiutare tutto dell’altro o volere tutto fino alle sintesi che il corpo opera in sé. Annullamento dell’altro da sé e annullamento di sé nell’altro, e sentire in quest’ultimo caso la propria presenza come mai prima, nella sua totalità, con il corpo che respira e non soffre più. Gli atti sessuali di Jeanne sono attimi di grande vitalità: il sesso al Moonlight Motel tanto desiderato, “scappare-scopare”, il piacere che la cantante di strada le procura, le scorre dalla fica ai piedi, l’amore di Jeanne per la ragazza nuda alla finestra: sono tutte azioni piene di vita e ribellione. Jeanne comprende la sua condizione e agisce proprio partendo da questi atti sessuali. Si può dire che le sue azioni siano una incessante ricerca di ripetere questi momenti.

Mi hai citato Mishima, be’ è stato un autore importante per me. Proprio per le sue riflessioni sul corpo, la sessualità e l’azione. In fondo, il suo suicidio non è stato solo un gesto politico e di protesta, ma anche sessuale. L’ossessione del corpo, del bel corpo, e del suo inevitabile disfacimento, guida tutta la sua opera. Ho sempre pensato che letteratura e corpo siano collegati. Ovviamente nella mia, di scrittura. Ho sempre praticato le arti marziali e le discipline da combattimento insieme alla scrittura. Penso che la mia sia una scrittura molto fisica: più di qualunque pensiero possa suscitare una mia pagina mi interessa la reazione fisica che questa può dare. “Il tuo libro mi ha fatto pensare a molte cose”: bene. “Mi sono masturbata su una delle tue pagine”: oh, meglio. Perché in questa azione c’è il ricongiungimento tra pensiero e corpo. Il pensiero allora è corpo. Vorrei che la mia scrittura modificasse uno stato, mentale o fisico, vanno bene entrambe le cose, certo. Tutte e due insieme sarebbe l’ideale.

A CURA DI MICHELE SALOMONE

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