lunedì, Novembre 25, 2024
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Invisibili ma indispensabili: Arte e Cultura sacrificati sull’altare dell’emergenza

Di Andrea Auletta:

C’è chi lavora grazie alla prossimità e si è gelato a sentir dire in quel famoso 9 marzo: “Mantenere la distanza di almeno un metro; sono vietati gli assembramenti”.

Il Look Down per loro durerà a lungo, gli Artisti (attori, musicisti, ballerini, ecc.) e tutti coloro che vivono di spettacoli, sono, per ovvie ragioni, la categoria più penalizzata dalla pandemia. E anche la più trascurata dal governo fin dall’inizio di questa storia. In tal senso è emblematica la frase detta dal Premier, Giuseppe Conte, in conferenza stampa, mentre descriveva le misure del Decreto Rilancio: «Abbiamo un occhio di attenzione per i nostri artisti che ci fanno tanto divertire». Già, “tanto divertire”. Per il premier, per il Governo, la Cultura è solo un divertimento.

Chissà cosa pensano gli Artisti di tutta questa storia. Ne incontro qualcuno al bar, ne sento altri al telefono, e faccio quattro chiacchiere con loro. Sulla frase del premier concordano tutti: si sono fatti una grossa risata. Ma piena di amarezza, però. È svilente che la politica ignori la cultura. Lo è per chiunque faccia del proprio vissuto, della propria sensibilità, del proprio stato d’animo, un materiale da lavoro.

Jennà Romano dei Letti Sfatti (cantautore, musicista) non ha mezze misure: «Il mondo artistico, in Italia, non è mai stato considerato una risorsa dalla classe politica. Ed è un paradosso perché abbiamo un ineguagliabile patrimonio culturale». Poi sulla prossima riapertura dei teatri afferma con ironia: «Aprire i teatri il 15 di giugno è come aprire le piste sciistiche in agosto». E la vera alternativa per lui sarebbe «l’individuazione di spazi esclusivamente aperti e molto ampi, tali da consentire lo svolgimento in sicurezza degli spettacoli».

A rimarcare il concetto di poca considerazione è Patrizio Trampetti (co-fondatore della Nuova Compagnia di Canto Popolare, paroliere e musicista): «Mi viene in mente che nel seicento, o giù di lì, gli attori venivano sepolti fuori dalla Terra Sacra». Trampetti intende evidenziare il concetto di esclusione e lo fa efficacemente evocando un’immagine storica molto forte, perché è così che si sentono gli operatori d’arte: esclusi, emarginati.

Gianni Guarracino (chitarrista che ha lavorato con Pino Daniele e Paco De Lucìa) appare abbastanza consapevole, per lui nulla di nuovo sotto il sole: «Non mi sorprende affatto che in questo momento difficile lo Stato non consideri gli Artisti. Non lo ha mai fatto, neanche prima».

C’è nell’aria una mentalità inquietante che fatica a riconoscere utilità sociale alle discipline artistiche, mi viene da pensare. «Ma invece l’arte è importante» dice ancora Guarracino con un tono deciso e dignitoso.

Secondo Stefano Angelini (ballerino solista al San Carlo di Napoli, docente presso l’Accademia Nazionale di Danza di Roma) che da ex Rappresentante Sindacale UIL va sul pratico, la soluzione sarebbe quella di riaprire più tardi. «Forse a novembre, forse a dicembre» dice. «Ma poi riaprire per davvero, evitando di lavorare con delle limitazioni che nei fatti non consentono alcun lavoro, alcun inizio. E nel frattempo, però, sarebbe necessario prevedere un concreto sostegno economico per chi opera nei settori dell’arte e dello spettacolo».

Insomma, parlando con chi lavora grazie agli assembramenti, mi viene un sospetto: Non è che lo Stato concede la finta riapertura dei teatri, dopo il 15 di giugno, solo per risparmiare eventuali sostegni economici a favore di chi lavora nel comparto arte-cultura-spettacolo? Ma sono cattivo, molto cattivo, un vero malpensate, si sa.

Intanto loro, “gli artisti che ci fanno tanto divertire”, si arrovellano pensando al futuro prossimo e meno prossimo. Non basterà quanto previsto dallo stesso Decreto Rilancio e che, come già detto, andrà in vigore dal 15 giugno in poi, quando riapriranno (per modo di dire) i teatri e tutte le strutture affini ma solo a certe condizioni: nei luoghi all’aperto si potranno ospitare al massimo 1000 spettatori; in quelli al chiuso 200 per sala. Chiaramente bisognerà mantenere la distanza di almeno un metro da chiunque altro e indossare la mascherina – da un po’ di tempo, ormai, è la fedele compagna di vita di tutti, un accessorio indispensabile per interagire fuori dalle quattro mura.

In Piazza del Plebiscito a Napoli, sabato 30 maggio, i lavoratori del settore spettacolo hanno manifestato: “Dateci il reddito di continuità” dicevano. Giorni prima, il 15 maggio, davanti alla Scala di Milano, c’è stata un’altra manifestazione dove, fra le altre cose, hanno esibito uno slogan sintetico e molto significativo, definendosi così: “Invisibili ma indispensabili”. Questa dichiarazione sintetizza sia il destino che la missione di chi produce arte e cultura per mestiere. Il primo, il destino, è quello di essere, ahimè, ignorati o considerati al pari di giullari utili per il tempo libero, magari nel fine settimana davanti ad una birra, signor Covid permettendo.

E la missione? Cioè, a cosa servono l’arte e la cultura? Per alcuni non c’è dubbio: sono l’anima di un popolo, né costruiscono l’identità. Migliorano l’esistenza degli individui, ecco.

Per favore, adesso, ripetiamo insieme. E dico anche a voi laggiù all’ultimo banco, siete sempre i soliti distratti.

Cosa dite, avete da scrivere una legge importante?

Ma non fateci ridere. Posate subito quelle cartacce sul banco e voltatevi verso di noi, verso la cattedra.

Ecco, bravi. E ora, dicevo, ripetiamo tutti insieme infinite volte il mantra:

“L’Arte e la Cultura migliorano la nostra esistenza!”

(ad libitum sfumando)

Mantra a parte, chi potrà mai scordarsi delle tante iniziative (virtuali) messe in campo, generosamente, da tantissimi musicisti, cantanti, attori, ballerini, a sostegno della Pace Interiore, proprio nel pieno di una quarantena necessaria ma anche snervante?

«La musica è certamente anche intrattenimento, ma ha un grande potere sul benessere psico-fisico delle persone» mi dice Francesca Curti Giadina (cantante e musicoterapista), mostrandosi negativamente colpita dalle famose parole del Premier dette in conferenza stampa.

«Senza di noi, in questo periodo di pandemia, la gente si sarebbe suicidata» chiarisce, infine, opportunamente, Stefano Angelini.

Però mi viene un dubbio, l’ennesimo. E la serie dei fumosi decreti emanati dal governo non mi aiuta a dissolverlo. Mi chiedo: come faranno i ballerini sul palco, lavorando corpo a corpo, a rispettare la famosa distanza di almeno un metro? Il decreto rilancio, non dice nulla in merito.

Sono due giovani danzatori partenopei, Saverio Cifaldi e Sara Lupoli, a farmi notare questa circostanza che mai avrei valutato non essendo del mestiere.

Ecco, sarebbe il caso di ricordarlo: vale sempre la pena consultare i destinatari di una norma prima di scriverne una ad essi destinata, evitando certe goffe arroganze. Probabilmente, al di là della prossemica, i legislatori avranno considerato “cosa da niente” la possibilità di riscrivere i copioni teatrali in funzione del mantenimento della distanza, piegando l’ispirazione artistica in favore della sicurezza. “Che sarà mai”, si saranno detti conoscendo il poco valore che (sappiamo) danno all’arte.

Ma siamo nell’era del covid19, tutto può cambiare, adesso, anche l’assurdo è contemplato.

Per il momento, una cosa è certa: gli artisti, tutti, sono loro a mettere “le dovute distanze”. Ma dall’ignoranza e dal pressappochismo.

 

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