I gatti sono creature misteriose ed eleganti che sono, da sempre, indissolubilmente legate alla magia e al mondo del sovrannaturale.
Nel corso dei secoli sono stati associati a divinità e streghe, a inferni, demoni e diavoli: ma voi lo sapevate che, secondo alcune leggende, a governare queste creature maliarde e incantevoli c’è addirittura un sovrano?
Stiamo parlando del Gatto Mammone, detto il Re dei Gatti. Questa magica figura viene citata in tantissime favole e racconti. A volte sembra che si tratti di un essere crudele, altre si comporta come un gentile benefattore.
Questa settimana, #BussoLaLeggenda vi parla del Gatto Mammone e delle sue antichissime origini.
Il gatto Mammone in Campania
Secondo la tradizione Campana, il Gatto Mammone è, appunto, il Re di questi piccoli felini.
Possiede un’intelligenza pari – se non superiore – a quella umana e si presenta come un gatto nero di grandi dimensioni. In alcuni racconti ha una lettera “M”, bianca, sulla fronte o sul muso. Ha un’aura demoniaca e non sempre i suoi intenti sono nobili: viene spesso associato al peccato capitale dell’avarizia.
Bonus Track: #BussoLaLingua – Perché si dice “Mo’ vene ‘o Mammone”?
Il Gatto Mammone a volte può essere davvero pericoloso: acquattato nell’ombra divora le persone che si sono dimostrare crudeli o avare. Le fauci di questo demonietto sono rapide e letali, e della persona di cui si ciba non rimane nulla: né sangue né ossa.
Per questo si usa dire ai bambini disobbedienti:
Fa’ ‘o bravo, altrimenti mo’ vene ‘o Mammone!
ovvero
Fai il bravo, altrimenti adesso arriva il Mammone.
Il Gatto Mammone si è, insomma,trasformato nel corso de tempo in uno spauracchio con cui spaventare i bambini più capricciosi e a quelli meno educati.
Il Gatto Mammone nelle altre Regioni
Questa creatura non esiste, tuttavia, soltanto in Campania.
In Sardegna, nello specifico a Sarule, il Maimone è un fantoccio fatto di stracci e peli di gatto dalle sembianze feline, rappresentazione del Carnevale.
In Veneto si dice che nel ’68 una donna di nome Serafina dal Pont venne aggredita da un Gatto Mammone. La donna raccontò di essersi salvata dall’aggressione della belva solo grazie a Santa Rita, apparsa nella forma di un gigantesco topo al fine di distrarre il Mammone. La vicenda venne resa nota tramite diversi giornali e Italo Calvino ne fece addirittura un disegno.
Vittorio Imbriani ne parla nella sua “Novellaja Fiorentina”
La Novella dei Gatti
Uno dei racconti popolari più celebri in cui compare il Gatto Mammone è “La Bella Caterina o La Novella dei Gatti“, del napoletano Vittorio Imbriani, contenuto nel volume “Novellaja Fiorentina“.
La Bella Caterina
C’era una volta, tanto tempo fa, una bella fanciulla di nome Caterina. Costei aveva una sorella, molto più brutta di lei, e una madre ingiusta.
La madre, infatti, amava molto di più la sorella di Caterina, che oltre a non essere di bell’aspetto era anche crudele e saccente. Proprio in virtù di questa inspiegabile predilezione, la madre un giorno mandò Caterina a chiedere un setaccio in prestito a delle Fate. Caterina, che era di buon cuore, obbedì ma non riuscì a trattenere le lacrime: era noto infatti che le Fate fossero crudeli e violente e che chiunque si avvicinasse a loro tornasse ricoperto di lividi e di graffi.
Nonostante la tristezza e la paura, Caterina si diresse verso il bosco dove abitavano le tre fate. Lungo la strada incontrò un uomo anziano e si confidò con lui, raccontandogli dei suoi timori e del suo dispiacere. L’uomo disse allora alla fanciulla:
Non abbiate paura di nulla. V’insegnerò io com’avete da condurvi. E se m’ascolterete, non ve n’avrete da pentirvene. Ma prima ditemi un po’ che cosa ho qui ‘n capo, che mi sento tanto prudere.
Caterina diede un’occhiata e rispose che, sul capo dell’anziano uomo, vedeva perle e oro. E allora l’uomo anziano esclamò:
E perle ed oro toccheranno anche a voi!
Pronunciate queste parole, diede alla ragazza dei suggerimenti: giunta alla casa delle fate, avrebbe dovuto infilare nello spioncino della loro porta un bastoncino; lungo la strada, inoltre, avrebbe dovuto aiutare dei gattini che lavoravano come sartine ed altri che lavoravano nelle cucine. Infine, l’uomo raccomandò a Caterina di scegliere sempre gli abiti e i cibi più semplici e di non salire mai e poi mai le scale con le scarpe.
La fanciulla, anche se non capiva fino in fondo le parole dell’uomo, gli obbedì e riprese il suo cammino verso il bosco.
Arrivata a una porta, le fate le dissero di aprirla infilandovi un dito. Ma la bella Caterina, memore delle raccomandazioni del vecchietto, vi infilò un bastoncino e la porta si aprì.
Il Gatto Mammone
Dopo qualche tempo incontrò dei gattini intenti a cucire, ricamare e cucinare: con gentilezza, la bella Caterina si mostrò servizievole nei confronti di tutti loro. Dopo che li ebbe aiutati, le comparve davanti agli occhi il Gatto Mammone, grande e nero proprio come l’avevano descritto le leggende.
Il Gatto Mammone ringraziò Caterina, per il grande aiuto dato ai gattini. Dopo qualche istante poi le domandò cosa preferisse tra pane nero e cipolla e pane bianco e cacio; Caterina, ricordando le parole dell’uomo anziano, rispose di preferire del pane nero. Il Gatto Mammone, udendo quelle parole, le diede del pane bianco.
Il Gatto Mammone disse allora a Caterina di percorrere delle scale. La fanciulla si trovò davanti a delle bellissime scale di cristallo e, ricordando le parole dell’uomo anziano, si tolse le scarpe prima di obbedire al Gatto Mammone che, a questo punto, le chiese di scegliere tra un abito bellissimo e d’oro e un abito brutto e d’ottone. Anche questa volta, Caterina scelse l’abito più semplice e ancora una volta, invece, ebbe l’abito più bello, mentre le fate l’adornarono di gioielli preziosi.
Le venne consegnato infine il setaccio dalle fate e il Gatto Mammone le fece un’ultima raccomandazione: allontanandosi avrebbe sentito il raglio di un asino e il canto di un gallo, e avrebbe dovuto ignorare il primo e voltarsi solo al secondo. Caterina ringraziò per il consiglio il Gatto Mammone e quando sentì il canto del gallo e si voltò verso di lui. Le comparve allora una stella sulla fronte.
La Brutta Sorella
Quando giunse a casa, Caterina raccontò tutto alla madre e alla sgradevole sorella. Quest’ultima, pensando di poterne ricavare gioielli e abiti d’oro, si offrì di riportare il setaccio alle fate il giorno seguente.
La sgradevole sorella, dunque, si diresse verso il bosco. Incontrato l’uomo anziano, tuttavia, gli rispose in modo scortese e questo non le offrì alcun consiglio; così, quando le fate le chiesero di infilare un dito nella serratura porta lo fece senza alcuna remora: le fate le strapparono via la falange.
Incrociati i gattini che lavoravano come cuochi e sartine, invece di aiutarli li prese in giro e li trattò male. Vedendo il Gatto Mammone, i gattini parlarono tutti assai male della brutta fanciulla.
Quando il Gatto Mammone le chiese di scegliere tra pane bianco e nero, scelse quello bianco e si disperò quando le venne dato il pane nero; stessa cosa accade quando le fu chiesto dii scegliere tra l’abito brutto e d’ottone e l’abito bello e d’oro: scelto l’abito più bello, il Gatto Mammone le fece indossare quello meno elegante. Salendo le scale di cristallo non si tolse le scarpe e le graffiò tutte, rovinandole con gran disappunto delle fate.
Quando se ne andò, senza nemmeno salutare, il Gatto Mammone le disse di voltarsi al ragliare dell’asino. La brutta sorella così fece e sulla fronte le spuntò una lunga coda d’asino.
Il Calderone
Nel frattempo, Caterina, ancora vestita dell’abito e dei gioielli che le avevano regalato il Gatto Mammone e le fate, incontrò per caso il principe del regno. Questi, vedendola, se ne innamorò perdutamente e ne chiese subito la mano.
La madre ingiusta, però, nascose Caterina nella cantina cercando di far credere al principe che la sua promessa sposa fosse la brutta sorella: tuttavia il giovane sentì un canto melodioso venire dalla cantina e riconobbe all’istante la voce di Caterina.
Liberata immediatamente l’amata convolò con lei a nozze, disponendo che la madre ingiusta e la brutta sorella fossero gettate in un calderone d’olio bollente: così venne fatto, e le due donne morirono tra mille tormenti.
Ma chi è la Mammona?
Ma da cosa deriva la parola “Mammona”?
A un primo sguardo sembra che si tratti di un riferimento al Vangelo, dove possiamo infatti leggere che Gesù pronuncia la seguente frase:
Non potete servire Dio e la Mammona.
Ma cos’è questa Mammona a cui fa riferimento?
Molti teologi, filosofi e santi cristiani ne parlano come di una personificazione demoniaca. Alcuni credono che sia uno dei tanti nomi del diavolo, altri che si tratti del demone dell’avarizia.
Oggi in molti sostengono che la Mammona, prima del cristianesimo, fosse assimilabile alla divinità della Grande Madre. Successivamente, con l’introduzione del patriarcato, venne inglobata nella figura della Mater Matuta, divinità del mattino o dell’aurora, e in seguito, con l’arrivo del cristianesimo, la Mammona sarebbe diventata una creatura demoniaca e infernale in quanto residuo della religiosità pagana appena soppiantata.
Il Gatto Mammone
Le origini del Gatto Mammone affondano insomma le loro radici in epoche davvero antiche. Quale che sia la verità, oggi degli antichi miti non rimane che uno spauracchio e dei racconti popolari suggestivi e un po’ spaventosi…
… e anche se nessuno potrebbe mai credere alle storie sul Gatto Mammone, non siate troppo avari: anche se nessuna creatura infernale salterà fuori dalle tenebre per divorarvi, essere generosi potrebbe essere comunque una scelta più saggia.
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