Il giornalismo e l’opinione pubblica italiana hanno affrontato con pochezza la tragedia di Maria Paola e Ciro.
Sulla vicenda di Maria Paola e Ciro, si è palesato ancora una volta il fatto che una parte dell’opinione pubblica e privata sguazza ancora nel pantano di un’ignoranza allucinante, amplificata dall’appiattimento della distanza – attraverso il mezzo digitale – tra il mittente di un’opinione privata e i destinatari a cui essa arriva come pubblica. I giornalisti e i personaggi pubblici prendono parola – anzi nemmeno, al massimo twittano – con la stessa sufficienza di un avventore da bar e gli avventori da bar hanno potenzialmente lo stesso spazio mediatico di giornalisti e personaggi pubblici.
In un articolo che, a dirla tutta, meriterebbe una revisione strutturale anche solo per la sintassi dell’italiano, Nino Materi de «il Giornale» parla di “Una storia d’amore. Tutt’altro che «convenzionale». Ma che, in un’epoca di sessualità fluida, non è neppure tanto rara”. «Libero» si è limitato invece a raccontare il tutto senza troppi fuochi d’artificio, facendo un pezzo per ogni dichiarazione politica, da quella di Pillon a quella di Liberi e Uguali, passando per quella di Zingaretti sulla legge contro l’omotransfobia, quindi dando in pasto il dibattito ai commenti social, senza alcun filtro critico. Poi è stato intervistato chi più può comprendere la vicenda: nientedimeno che il prete, che ha sminuito alludendo alla difficoltà della famiglia di Maria Paola di digerire la relazione e la fuga da casa. Su «il Mattino» c’è stata la frase scritta con troppa sufficienza, poi ripresa e ritirata da più testate: “l’amica, che da un po’ di tempo si fa chiamare Ciro“. Infine lo scivolone di de Magistris, subito corretto, che in un post parlava ancora di “Cira”.
In questi casi viene fuori quanto la cronaca della nostra realtà sia in mano a dei dinosauri dalla conoscenza e dallo spirito critico opinabile, che non sono in grado di raccontare la complessità del reale. Ci si impantana su quanto Ciro avesse fatto l’operazione o meno, su quanto avesse il pene o la vagina. Come ha scritto oggi Giuseppe Cassarà del «Globalist», il giornalismo italiano rischia di apparire come capace di raccontare solo “La vita delle persone ridotta a un movimento pelvico“.