di Giulia Compagnone – Mondo, 27 Gennaio 2021. Oggi, come il 27 Gennaio di ogni anno dal 2005, ricorre la giornata per commemorare le vittime dell’Olocausto.
Oggi il mondo si dovrebbe fermare, almeno per un attimo, e mettere a tacere ogni rumore sbagliato, ogni parola ricca di insidia. Almeno oggi dovremmo restare in silenzio e smettere di essere la società che siamo, la società che impiega cinque minuti per screditare una persona, nella sua frenesia smodata di distruggere rapporti sociali e rendere lecito anche ciò che non dovrebbe essere tale. Almeno oggi dovremmo guardare in faccia la realtà, senza rifugiarci sotto le coperte spegnendo la luce, convinti di poter andare avanti. Ma non è così, così si torna indietro. Oggi non dobbiamo volgere comodamente il pensiero ad Achille Lauro sul palco di San Remo, ai suoi “atti osceni” in tv nazionale, contro l’ordine, gli schemi, contro il pudore, il maschio, la femmina.
Oggi non dobbiamo occupare la mente pensando al razzismo perché è l’argomento del giorno, perché così ci sentiamo sollevati, facenti parte del mondo. Illudendoci che basta un profondo respiro per far ritornare tutto al proprio posto, quello che siamo abituati a dargli.
Oggi siamo chiamati a fare qualcosa di diverso, qualcosa che in questo anno di sofferenza è d’obbligo fare: costruire una coscienza collettiva forte, attenta e solidale.
Oggi è necessario guardare ai 2200 migranti bloccati da mesi, alcuni da anni, al confine bosniaco-croato. Con i piedi nudi tra la neve. Senza scarpe, senza calzini. Senza tutto ciò che può sembrare scontato avere, ma solo con la speranza di avere una vita migliore, aldilà del confine. Oggi è necessario riflettere sulla condizione dei profughi dell’isola di Lesbo, sull’infernale campo profughi di Moria, ai padri che guardano i propri figli piangendo, potendosi permettere solo un abbraccio. E allo stesso modo, a ciò che accade nel campo Rom di Scampia, smettendo di considerarlo non facente parte della nostra realtà.
Oggi è necessario guardare ai confini, quelli materiali e quelli invisibili, e impegnarci affinché essi diventino vani. Quelli che ogni giorno la società crea tramite attacchi sui social e commenti da bar intrisi di odio verso tutto ciò che è diverso, verso i soggetti senza collocazione, con tratti somatici diversi, dagli occhi all’odore della pelle. Senza mai volgere lo sguardo a quello che ci sembra così lontano, ma che invece è ad un millimetro da noi.
Oggi non possiamo accomodarci nel “non ti dimenticheremo” quando al TG passa la notizia che una ragazza di 17 anni viene uccisa e letteralmente buttata in un burrone. Non possiamo classificare come tragedie episodi del genere, che invece sono frutto di qualcosa che fa così paura che si fa fatica a nominare. Sono frutto di qualcosa che l’uomo ha costruito, di qualcosa, infatti, che non è congenito nella natura umana.
Costruire, esatto perché è proprio così che è andata. Sessismo, classismo, omofobia, meridionali, immigrati inquadrati come cose, non come uomini.
Così è stato e così è ancora oggi. Ma così non deve essere, almeno non più.
Almeno oggi si deve avere il coraggio di conoscere, di non spegnere la luce, di non abbassare lo sguardo ogni qual volta vi è una bruttura davanti a noi, ogni qual volta c’è il puzzo di marcio.
Sporcatevi, tormentatevi, abituate il vostro cuore alle cose che vi circondano, anche se fanno male. Solo così si smetterà di normalizzare l’orrore in modo tale da non essere più banalizzato. Solo così potremmo liberarci, proprio come fecero le truppe dell’Armata Rossa il 27 Gennaio 1945.