Alla fine la Scuola ce l’ha fatta. Invocata, temuta, rimandata la riapertura delle scuole è arrivata. Le scuole chiuse erano diventate un caso politico più che etico: un’arma da brandire in Parlamento, un vulnus governativo, pura propaganda elettorale. L’interesse dei governanti e delle opposizioni più che il disagio insostenibile degli studenti era la strumentalizzazione del tema. “Scuole chiuse per la sicurezza sanitaria”, dicevano gli uni per mascherare annosi disastri di programmazione e di investimenti, “scuole aperte”, dicevano gli altri, fingendosi pie crocerossine del benessere dei giovani, che poco prima avevano accusato di essere untori irresponsabili dediti a movide scatenate.
La Scuola, si sa, è il campo aperto dei mali del mondo, è lo snodo cosmico di ogni discorso, è lo specchio distopico di una nazione, la cifra esatta del grado di civiltà di un popolo. La politica la usa, la manipola, la massacra. Non c’è governo che arrivi che non si occupi di scuola, con la disperazione degli insegnanti italiani che preferirebbero l’immobilismo allo sfascio; i docenti sceglierebbero di versare un lauto stipendio ai Ministri dell’Istruzione purché stiano fermi, non facciano nulla, si sollazzino coi monopattini nei saloni del Ministero piuttosto che sfornare cicliche riforme sciagurate. Ce ne fosse stato uno, di Ministro dell’Istruzione, che non abbia messo mano a programmi, esami di stato, alternanze, pseudo riforme che hanno procurato, di anno in anno, più devastazioni di Attila all’Impero Romano.
Sembrerebbe che Mattarella abbia deciso di affidare l’incarico a Draghi, quando Renzi ha proposto Maria Elena Boschi alla Pubblica Istruzione! Era troppo anche per Mattarella (e per la Scuola italiana). Giorni prima era riapparsa sulla scena un altro tsunami della Pubblica Istruzione, Letizia Moratti, richiamata in servizio dalla sagace giunta regionale lombarda: rivedendola, gli studenti degli anni 2000 sono scoppiati in un pianto disperato e qualcuno di loro ha tentato il gesto estremo. Intanto la tenera Azzolina, salvata dal linciaggio popolare, andrà a lavorare come consulente per un’industria di banchi a rotelle. Adesso si attende dal Salvatore della Patria che resusciti Maria Montessori e finalmente l’Italia raggiunga vette educative finlandesi.
Ad ogni modo, scongiurato l’incubo della fashion blogger Boschi, archiviato lo sguardo assente della Azzolina, la Scuola tremebonda si è rimessa in cammino; azzoppata, claudicante, con qualche linea di febbre (sotto i 37 si spera) è ripartita. I professori sono stati dotati di un kit di mascherine, fragili e maleodoranti, fabbricate dalla famiglia Agnelli (sembra che alcune abbiano il filtro dell’aria anziché il tessuto!); della fornitura per fortuna se ne è occupato John Elkann e non Lapo, altrimenti momenti di inconsulta euforia da inalazione si sarebbero impossessati del corpo docente. Ai professori inoltre è stata consegnata una visiera protettiva di plastica che li ha trasformati in saldatori seriali, in tema con la vocazione metalmeccanica di cui sopra.
Agli ingressi sono stati disposti ultramoderni termo-scanner per la misurazione collettiva della temperatura, le teste inquadrate e ponderate da quadrati colorati in stile Matrix: verde il mondo vero, rosso il girone infernale. I termometri pistola piangono in tristi scantinati sentendosi oltraggiati da un progresso irriconoscente e continuano ostinatamente a misurare per rivendicare la loro esistenza, accendendo temperature a caso. I dispenser, seduttivi come le sirene di Ulisse, a ogni angolo: proteggeranno dal Covid ma distruggeranno il PH della pelle, i dermatologi fanno la ola fuori alle scuole.
Il nuovo rientro a scuola si basa su un acronimo DID (Didattica Integrata Digitale) che fa il paio con DAD (Didattica a Distanza) a richiamare note coppie del passato: Cip e Ciop, Johnson and Johnson, Tom e Jerry, Minghi e Mietta. La Did prevede metà della classe in presenza e l’altra metà a casa, collegata all’aula attraverso schermi ipermoderni (?). Talmente evoluti e tecnologicamente sensibili che se l’insegnante si allontana per farsi inquadrare non si sente la voce, se si avvicina si sente la voce ma non si vede il corpo. Questi schermi stanno dando vita a vere mutazioni genetiche: il professore invisibile che parla oppure il professore muto che gesticola. Docenti combattivi si ingegnano per superare le difficoltà: alcuni fanno lezione col megafono, altri frequentano scuole di mimo per spiegare le lezioni. Altri, più ligi, si piazzano al centro della classe girando continuamente il volto tra lo schermo, popolato dai “falsamente” presenti, e la platea in presenza: si è riscontrato nel corpo docente un aumento vertiginoso di collarini ortopedici, di lombo-sciatalgie, colpi della strega, artriti cervicali. Gli ortopedici si sono uniti ai dermatologi fuori alle scuole per fare la ola.
Infine i Consigli di classe, i collegi docenti e i colloqui con le famiglie online hanno evidenziato che i potenti mezzi non sono così poderosi: la Rete è ballerina, incostante, insufficiente e spesso gli individui nello schermo parlano a scatti come afflitti da balbuzie congenite, si vedono sfocati come presenze ultramondane, soprattutto le immagini si bloccano improvvisamente immortalando volti deformati, mostruosi, alieni.
Eppure nonostante tutte queste grottesche assurdità, gli studenti amano venire a scuola, talvolta piangono negli schermi, sfiniti dalla solitudine. Pian piano hanno ripreso a sorridere, muovendosi nello spazio e nel tempo cauti, increduli, timorosi che questo ritrovato brandello di libertà chiamato scuola possa essergli tolto di nuovo, come un risveglio imprevisto da un esile sogno bello.
A cura di Michele Salomone