A partire dal 3 luglio di quest’anno posate, piatti, cannucce, bastoncini cotonati, agitatori per bevande, aste per i palloncini e contenitori per alimenti non potranno più essere realizzati in plastica, anche quelle biodegradabili.
Ogni anno finiscono nel mare, in tutto il mondo, 8 milioni di tonnellate di rifiuti plastici: boe, reti, sacchetti, bottiglie. Gli oceanografi stimano che il 70% si depositi sui fondali, mentre il 30% rimane in superficie dove le correnti formano grandi isole. E la colpa è solo nostra, degli esseri umani. I frammenti di plastica uccidono gli animali perché li ingoiano, diventano così piccoli sino ad entrare nella catena alimentare e finire sui nostri piatti. Ma neanche la conoscenza di questi dati ha mai messo freno alle azioni scellerate degli abitanti della terra.
Quei piatti i bicchieri abbandonati sulle spiagge di tutto il mondo, lasciati lì con leggerezza, sono il 3,1% del totale dei rifiuti, il 17,3% gli imballaggi alimentari, il 17,1% cannucce, il 9,2% posate.
La decisione del divieto ha un lungo retroscena caratterizzato da una normativa serrata.
A dicembre 2015 la Commissione europea adotta un piano d’azione per l’economica circolare, in cui individua la plastica come priorità chiave.
Nel 2017 fissa l’obiettivo della riciclabilità di tutti gli imballaggi entro il 2030.
Nel gennaio 2018 lancia la strategia per ridurre l’inquinamento da plastica monouso, discussa con tutti gli Stati membri, che l’anno dopo porta alla direttiva in vigore oggi, votata dai rappresentanti di tutti gli Stati membri.
Il 5 giugno 2019, è stata adottata formalmente da parte del Parlamento Europeo e dal Consiglio dell’Unione Europea, la Direttiva 2019/904 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale dell’UE L 155/1), tesa a ridurre l’incidenza di determinati prodotti di plastica monouso sull’ambiente (anche quella biodegradabile), in particolare sull’ambiente acquatico, e sulla salute umana, nonché promuovere la transizione verso un’economia circolare con modelli imprenditoriali, prodotti e materiali innovativi. La Direttiva (entrata in vigore il 2 luglio 2019) riguarda, nello specifico, i prodotti di plastica monouso che più inquinano le spiagge e i mari d’Europa e gli attrezzi da pesca contenenti plastica. Insieme, questi prodotti rappresentano circa il 77% dei rifiuti marini. Queste sono le principali misure previste:
- Misure per conseguire la riduzione del consumo di contenitori per alimenti e tazze per bevande.
- Restrizioni all’immissione in commercio di plastica monouso con alternative prontamente disponibili (ad esempio dal 2021 verranno vietate posate e piatti in plastica, cannucce, bastoncini di cotone, agitatori per bevande, aste a sostegno dei palloncini, contenitori per alimenti e per bevande in polistirene espanso, tazze per bevande in polistirene espanso);
- Misure di sensibilizzazione e regimi di responsabilità estesa del produttore per tutti gli articoli che non rientrano nella misura di restrizione di mercato, al fine di contribuire al costo della prevenzione, della gestione dei rifiuti, compresi i costi di trattamento.
- Obblighi di etichettatura per informare i consumatori sul corretto smaltimento dei rifiuti, sul contenuto di plastica e sull’impatto ambientale.
- Misure relative alla progettazione dei prodotti (ad esempio relative a bottiglie per bevande con tappo collegato).
Ogni Stato membro dovrà adottare provvedimenti nazionali (o modificare quelli esistenti) per adeguarsi alle nuove regole entro il 3 luglio 2021.
Occorre fare chiarezza sul concetto di “plastica biodegradabile”. La biodegradazione è un processo naturale che può richiedere centinaia di anni, dipende dal tipo di materiale e dall’ambiente. Per la compostabilità delle plastiche bio esiste una normativa europea che prevede la biodegradazione in 90 giorni. Ma questo succede solo negli impianti di compostaggio dove ci sono determinate concentrazioni di batteri e temperature elevate. In ambiente domestico invece, dove le temperature sono variabili, queste plastiche devono potersi degradare al 90% entro 12 mesi. Queste sono le ipotesi ottimistiche. Diversamente, se finiscono in ambiente marino, nonostante possano essere biodegradabili, cambiano le condizioni di temperatura, presenza di ossigeno, carica batterica, e non è possibile determinarne la durata.
Tutto ciò considerando e dando per certo che i cittadini differenzino correttamente la plastica, ma dato che non è così, il Parlamento europeo e il Consiglio hanno deciso di vietare l’uso per alcuni prodotti.
Due erano gli anni di tempo per organizzarsi, ma l’Italia, che da sola ha il 60% del mercato europeo dell’usa e getta, non ha preso sul serio la predetta scadenza. Il nostro paese investe da anni nella plastica biodegradabile e compostabile, innescando un processo virtuoso e creando lavoro. Siamo stati i primi in Europa nel 2012 a introdurre gli shopper compostabili, biodegradabili in 6 mesi. In questi due anni, però, non vi sono state trattative per adeguarsi alle nuove regole imposte. Si è continuato ad investire, consapevolmente. Ed ora è troppo tardi.
L’unico spiraglio di luce è la proposta dell’Italia che ha chiesto, per piatti e bicchieri, di poter accoppiare alla carta un sottile strato di plastica.
A sostengo di ciò si sono schierate solo la Grecia e Polonia. La Commissione, si esprimerà a giorni.
Gli obiettivi stilati dall’UE non finiscono qui. Dal 2024 i produttori dovranno farsi carico del costo delle attività di raccolta e di pulizia per quanto riguarda alcuni prodotti: tazze da caffè, contenitori per cibo da asporto pronto al consumo, filtri di sigarette , palloncini, reti da pesca, salviette umidificate. Oggi pagano solo il 35% dei costi di smaltimento e riciclo, il resto è a carico del cittadino.
Entro il 2026 dovremo sostituire tappi e coperchi in plastica per le confezioni di bevande; entro il 2025 riciclare almeno il 77% delle bottiglie di plastica e il 90% al 2029.
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