Il 23 settembre di 36 anni fa la tragica morte, per mano della camorra, dello storico giornalista del Mattino. Oggi Siani è uno dei simboli della lotta alle mafie e del giornalismo di inchiesta.
Una macchina, più precisamente una Citroën Méhari verde, ferma nei pressi di una zona residenziale dell’Arenella e con a bordo il cadavere crivellato di un uomo: è questo l’immagine, il fotogramma chiave che giunge subito alla mente quando si ripensa a questa vicenda. A bordo della vettura, infatti, giace senza vita il corpo del noto giornalista Giancarlo Siani, appena 26enne, la cui unica colpa è stata quella di voler combattere, a suon di articoli e inchieste, uno dei mali che affligge da troppo tempo la nostra società, oggi come allora.
Quello di Siani è quindi un nome che rievoca nella mente di milioni di persone immagini e ricordi che hanno segnato profondamente un’epoca; l’epoca di una camorra che negli anni 80 era sempre più agguerrita e spietata, il ricordo di un giovane quanto coraggioso giornalista intento a portare avanti le sue inchieste pur sapendo i rischi che correva, e le tragiche immagini della sua fine.
Siani fu assassinato con dieci colpi alla testa, esplosi da due pistole. Una scena cruda, cruda come la camorra stessa, che colpisce una intera nazione come un pugno sulla pancia e la fa sprofondare nell’incredulità e nella paura.
Sono oramai passati 36 anni da quel fatidico 23 settembre 1985, quando, alle ore 20:30, il famoso giornalista venne freddato sotto casa sua, nel quartiere Arenella, eppure ancora oggi il suo nome è avvolto da un alone di leggenda e riverenza. Quanto è accaduto quel fatidico giorno e la forte risposta di sgomento da parte del pubblico sono le testimonianze indelebili della sua sete di verità, della profondità e della dedizione delle sue inchieste.
L’eredità di Siani
Siani non era quindi un semplice giornalista, era un giornalista scomodo, e come tale la camorra si è dovuta scomodare per tutelare i propri interessi. E forse è proprio questa, purtroppo, la testimonianza più lampante della grandezza di Siani, del suo giornalismo di inchiesta e di altri suoi colleghi che, come lui hanno, hanno sfidato la criminalità organizzata pagando con la vita. Ed è proprio questa stessa grandezza che rende la camorra ancora più piccola: è questo concetto uno dei tanti lasciti del compianto giornalista.
I motivi dell’omicidio e la vita
Nato in una famiglia della media borghesia partenopea, Siani si avvicinò al mondo del giornalismo quando frequentava la facoltà di Sociologia presso la Federico II di Napoli. La sua carriera giornalistica lo ha portato ad interessarsi e ad occuparsi di casi di cronaca nera, soprattutto di camorra.
Le sue inchieste, pagate poi ad un prezzo altissimo, scavavano sempre più in profondità, tanto da arrivare a scoprire la moneta con cui i boss mafiosi facevano affari. Siani con un suo articolo accusò il clan Nuvoletta, alleato dei Corleonesi di Totò Riina, e il clan Bardellino, esponenti della “Nuova Famiglia”, di voler spodestare e vendere alla polizia il boss Valentino Gionta, divenuto pericoloso, scomodo e prepotente, per porre fine alla guerra tra famiglie. Ma le rivelazioni, ottenute da Giancarlo grazie a un suo amico carabiniere e pubblicate il 10 giugno 1985, indussero la camorra a sbarazzarsi di questo scomodo giornalista.
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