venerdì, Novembre 22, 2024
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Quarant’anni fa si celebrava il primo Gay Pride italiano: il Pisa79

Era il 24 novembre 1979 quando a Pisa si tenne un corteo che avrebbe fatto la storia: definibile a tutti gli effetti il primo Gay Pride italiano, la Marcia contro la violenza sugli/sulle omosessuali – conosciuta altresì con il nome di Pisa79 – venne indetta dal Collettivo Omosessuale Orfeo in seguito all’omicidio di un uomo chiamato Dario Taddei a Livorno.  Taddei aveva solo 48 anni quando fu freddato con dei colpi di pistola nella notte tra il 20 e il 21 maggio di quell’anno esclusivamente a causa del suo orientamento sessuale.

In un contesto di tensione in cui si iniziava a percepire la voglia da parte degli italiani di affrancarsi da determinati dettami sociali e fare passi in avanti in materia di civiltà, ecco che tale delitto servì da miccia per favorire una manifestazione che mirava – allora come oggi – a rivendicare la legittimità dei diritti più basilari di cui nessun individuo dovrebbe mai essere privato. Sono trascorsi più di quarant’anni da quella data eppure le dinamiche alla base di certi meccanismi sono rimasti identici, suggellati nel tempo da convinzioni che più che con le ideologie in sé, hanno molto a che fare con i giochi di potere che queste alimentano: un individuo che decide di porre fine all’esistenza di un altro perché in disaccordo con la maniera in cui l’ha improntata, si sente autorizzato a farlo in virtù della sua impellenza di rimarcare lo stato di superiorità e inferiorità che intercorre tra sé e l’altro – condizione che sarebbe minata nelle sue fondamenta nel caso in cui lasciasse correre.

Se per una donna che viene ammazzata in quanto donna – vale a dire quando il suo volersi sottrarre a una gerarchia che la vede condannata a essere sempre parte lesa suscita lo sdegno del suo carnefice che decide di punirla in maniera definitiva affinché non mini lo squilibrio di dominio che li vede protagonisti – è stato coniato il termine ‘femminicidio’ per mettere in risalto il motivo alla base del reato (differenziandolo, quindi, da altri che finiscono allo stesso modo ma che presentano matrici slegate dall’identità di genere), si dovrebbe creare una parola che identifichi allo stesso modo un evento figurante la sola discriminazione sessuale come pretesto che ha condotto una persona a finire dritta in una bara. A che cosa servirebbe quest’ulteriore precisazione linguistica? A piantare nella nostra mente il seme della consapevolezza, a far emergere in tutto il suo splendore la potenza evocativa delle parole: le idee si nutrono di concetti e di immagini, è con esse che mettono radici in quell’archivio mentale da cui andremo ad attingerle ogni volta che ne sentiremo l’esigenza. Scegliere quali semi piantare fa tutta la differenza tra terreni aridi e terreni rigogliosi.

«Donne si nasce, gay si diventa o si sceglie di esserlo» potrebbero sostenere alcuni: su questa questione non solo si è espresso l’Oms – Organizzazione Mondiale della Sanità – depennando l’omosessualità dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali nel 1990, ma sono stati condotti anche studi di natura psicologica che hanno dimostrato come la sessualità sia una qualità congenita alla pari degli occhi che possono essere di un certo colore o di un neo che si trova in una determinata zona del nostro corpo. Ignorare delle evidenze scientifiche per perorare tesi letteralmente mortali è un grande indice di riferimento della quantità di luci e di tenebre insite in chi si impegna a difenderle a spada tratta.

Al Pisa79 parteciparono circa in 5000 e al termine della mobilitazione si tenne una festa nella chiesa sconsacrata di San Bernardino. Nel corso degli anni il numero di partecipanti – equamente divisi tra chi appartiene alla comunità lgbtqia+ e chi non ne fa parte ma vuole mostrare il proprio sostegno scendendo in piazza a protestare per una maggiore uguaglianza – è aumentato in maniera esponenziale rendendo di fatto il Pride uno dei momenti più attesi dell’anno nelle maggiori città d’Italia.

La marcia dei diritti è ancora lontana dal dirsi completata e con l’affossamento del ddl Zan ricordare eventi come questo assume una valenza che non si limita a essere meramente commemorativa – in barba a chi afferma che «certe cose ai miei tempi non esistevano».

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