Era il 1989 quando Antonio Diana, vigile urbano, perse la vita a San Cipriano d’Aversa per mano di ‘Sandokan’, boss dei Casalesi – il cui vero nome è Francesco Schiavone – e il suo collaboratore Giovanni Diana nell’ambito della faida che aveva visto interessati i clan guidati da Schiavone e Francesco Bidognetti da una parte e Antonio Bardellino dall’altra: l’uomo è stato ucciso in seguito all’omicidio di Michele Russo, affiliato di ‘Sandokan’, da parte di assassini assunti da Bardellino. ‘Sandokan’, infatti, era convinto che il vigile avesse fatto da specchiettista durante l’omicidio di Russo e ne aveva perciò ordinato la condanna a morte.
Già nel 2019 la Corte di Appello di Napoli aveva emanato la sentenza di ergastolo per Schiavone dopo che diversi pentiti, diventati poi collaboratori di giustizia, avevano permesso di ricostruire le dinamiche della vicenda risalente a più di 30 anni fa attraverso le loro testimonianze rilasciate alla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli.
Dal processo che si è tenuto di nuovo in questi giorni è emerso che ‘Sandokan’ è stato il mandante dell’uccisione, mentre Diana ha svolto il ruolo di specchiettista localizzando la vittima e custodendo le armi. La Corte d’Appello ha quindi confermato la condanna precedentemente considerata.