Lunedì sera la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni e il segretario del Partito Democratico Enrico Letta hanno partecipato a un confronto organizzato e trasmesso dal Corriere della Sera, moderato dal direttore del quotidiano Luciano Fontana.
Quello di ieri potrebbe essere l’unico dibattito di questa campagna elettorale, conseguentemente alla decisione dell’AGCOM, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, di impedire i confronti «tra due soli soggetti politici», perché non conformi «ai principi di parità di trattamento e di imparzialità dell’informazione». Il dibattito di ieri si è tenuto comunque, nonostante il divieto dell’AGCOM, ma sul sito del Corriere della Sera, in quello che è parso un tentativo di aggirare la decisione dell’autorità garante.
Il dibattito si è svolto sul modello di quelli che da sempre si disputano nei Paesi anglosassoni: regole e tempi prestabiliti, un blocco di domande identiche per entrambi i leader, con due minuti e trenta secondi a disposizione per la risposta, e con la possibilità di richiedere per tre volte il diritto di replica, fissato a un minuto e trenta secondi.
Il confronto tra i due leader è durato circa novanta minuti, i toni non sono apparsi particolarmente aspri e secondo diversi commentatori è improbabile che l’esito del dibattito possa spostare molti voti a favore dell’uno o dell’altro candidato, principalmente per via della modalità di trasmissione.
I temi trattati sono stati tutti quelli intorno a cui sta ruotando l’attuale campagna elettorale: dalle sanzioni alla Russia e il sostegno alla resistenza dell’Ucraina, ai diritti civili, passando dai rapporti con l’Unione Europea. Su quest’ultimo punto in particolare i due leader si sono dilungati, apparendo particolarmente distanti durante il reciproco botta e risposta.
La prima domanda del direttore Luciano Fontana ha riguardato la crisi ucraina. Il tema sta dominando il dibattito politico dal 24 febbraio, giorno in cui la Federazione Russa ha invaso l’Ucraina, ed entrambi i leader sono apparsi concordi nell’affermare il proprio sostegno all’Ucraina e all’imposizione di sanzioni nei confronti della Russia. Sia per Letta che per Meloni, comunque, la posizione sostenuta è in netto contrasto con quella dei propri alleati di coalizione. Il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, alleato del Partito Democratico per le elezioni del 25 settembre, ha infatti più volte affermato la propria contrarietà all’invio di armi all’Ucraina, così come il segretario della Lega Matteo Salvini ha fatto presente il proprio scetticismo per quanto riguarda l’imposizione di sanzioni alla Federazione Russa.
La seconda domanda ha riguardato i rapporti con l’Unione Europea, e qui hanno cominciato ad emergere le forti differenze tra i due leader di partito. «La nostra posizione è il principio di sussidarietà. Vogliamo un’Europa in cui anche l’Italia possa difendere i propri interessi», ha affermato Giorgia Meloni, che ritornando sul tema delle sanzioni alla Russia ha sottolineato come impattino in maniera profondamente diversa sui vari Paesi facenti parte dell’Unione Europea, motivo per il quale la proposta di Fratelli d’Italia è «un fondo di compensazione per aiutare le nazioni più esposte». Secondo Enrico Letta, invece, «il motivo per cui l’Europa non funziona è perché i conservatori e alcuni Paesi non vogliono che si decida a maggioranza. Bisogna togliere il diritto di veto che piace ad esempio a Ungheria e Polonia».
Polonia e Ungheria sono considerati paesi semiautoritari, ma i loro principali leader e partiti continuano comunque a godere di una certa considerazione in ambito europeo. La Polonia, guidata dal primo ministro Mateusz Morawiecki del partito Diritto e Giustizia (in polacco Prawo i Sprawiedliwość, PiS), alleato di Fratelli d’Italia al Parlamento Europeo (entrambi fanno parte del gruppo ECR, Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei, di cui Giorgia Meloni è presidente dal 2020), ha sostenuto la resistenza ucraina così come l’imposizione di sanzioni alla Federazione Russa, ma è considerata un paese a guida illiberale e nazionalista. L’Ungheria, invece, guidata dal primo ministro Viktor Orbán, ha più volte osteggiato l’imposizione di sanzioni da parte dell’Unione Europea nei confronti della Russia, in quelli che la maggior parte dei commentatori politici hanno visto come tentativi di favorire il regime del presidente russo Vladimir Putin.
Giorgia Meloni, in replica alle accuse di Letta di vicinanza al governo ungherese, ha ricordato che gli alleati del Partito Democratico, Sinistra Italiana/Europa Verde, sono contrari all’invio di armi all’Ucraina. La risposta del segretario del Partito Democratico è apparsa particolarmente debole, se non addirittura come una sostanziale ammissione di sconfitta alle elezioni del 25 settembre. Letta ha, infatti, sottolineato che l’accordo tra Partito Democratico e Sinistra Italiana/Europa Verde è di tipo elettorale e non di governo. In sostanza, secondo il segretario del Partito Democratico, il centrosinistra non avrà necessità di trovare un accordo di governo con i propri alleati e dunque le grosse distanze politiche nei programmi dei rispettivi partiti sono giustificabili nonostante facciano parte della stessa coalizione.
La terza domanda ha riguardato i fondi del PNNR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che Fratelli d’Italia vorrebbe rinegoziare per ottenere condizioni maggiormente favorevoli. Secondo Enrico Letta «se rinegoziamo i fondi europei del PNRR, il messaggio è che siamo inaffidabili e io sono contro questa idea di un’Italia inaffidabile», ricordando poi che «Fratelli d’Italia non ha mai votato a favore del Next Generation Eu». Giorgia Meloni ha contestato la ricostruzione del segretario del Partito Democratico: «Su alcuni passaggi ci siamo astenuti, ma mai votato contro. E ci siamo astenuti perché il documento sul PNRR è arrivato in Aula, nel Parlamento italiano, solo un’ora prima del voto». La leader di Fratelli d’Italia ha poi ricordato che anche il Portogallo, guidato dal primo ministro António Costa, leader del Partito Socialista portoghese, ha chiesto una revisione del PNRR.
Il noto portale di fact-checking Pagella Politica ha confermato la dichiarazione di Giorgia Meloni riguardo le astensioni di Fratelli d’Italia in diverse votazioni chiave sul Next Generation Eu, aggiungendo che almeno una volta ha votato a favore di un provvedimento legato al fondo, sostanzialmente smentendo la versione di Enrico Letta e del Partito Democratico. Pagella Politica aveva pubblicato un ulteriore approfondimento sulla questione già il 10 agosto in seguito ad una dichiarazione analoga da parte di Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna.
È vero, inoltre, come riportato dall’agenzia stampa Ansa, che il 9 settembre il primo ministro portoghese Costa aveva presentato all’Unione Europea la proposta di posticipare la scadenza degli obiettivi del piano nazionale di ripresa portoghese (finanziato con 16,6 miliardi di euro) solo per quanto riguarda gli investimenti, e non le riforme. Per di più, anche Enrico Letta, secondo quanto riportato da Pagella Politica, a marzo del 2022 aveva proposto di posticipare di un anno, al 2027, la conclusione del PNRR italiano, per far fronte ai rincari delle materie prime.
La quarta domanda ha riguardato il caro bollette, conseguente ai forti aumenti del prezzo del gas. Per entrambi i leader, la risposta più efficace all’attuale aumento dei prezzi dell’energia sarebbe il disaccoppiamento tra costo del gas e dell’energia elettrica.
Attualmente il prezzo del gas naturale influisce su quello dell’elettricità perché il gas è abbondantemente usato come fonte di energia, ma in realtà determina anche il prezzo dell’elettricità prodotta con altre fonti, comprese quelle rinnovabili: la ragione dipende dal modo in cui funziona il mercato energetico europeo. Secondo Giorgia Meloni, «il tema del disaccoppiamento tra costo del gas e dell’energia si può affrontare anche a livello nazionale», ed ha aggiunto di non sapere perché non sia stato già fatto.
La quinta domanda ha riguardato il tema delle tasse e dei condoni. Enrico Letta ha parlato di una «unica grande proposta di riduzione fiscale», ovvero la riduzione delle tasse sul lavoro, che secondo il segretario del Partito Democratico «darebbe una quattordicesima in più ai lavoratori». La leader di Fratelli d’Italia ha tentato invece di difendersi dalle accuse provenienti dal centrosinistra di voler introdurre ulteriori condoni fiscali. «Non ci sono condoni nel nostro programma», ha detto Giorgia Meloni.
Come sottolineato da Pagella Politica, il programma di centrodestra promette di introdurre la cosiddetta “pace fiscale”, ossia un «accordo tra cittadini ed erario per la risoluzione del pregresso». Per come è stato descritto da alcuni esponenti del centrodestra, questo provvedimento è un vero e proprio condono fiscale.
La sesta domanda ha riguardato lo stato di salute dei conti pubblici italiani. Secondo Meloni «la situazione dei conti pubblici in Italia non è ottima e chi ha governato negli ultimi 10 anni una parte di responsabilità ce l’ha». Enrico Letta ha però ricordato che il quarto governo Berlusconi, in carica dal 2008 al 2011, di cui Giorgia Meloni fu ministro della Gioventù, fu responsabile di un aumento del debito pubblico di 230 miliardi, la stessa cifra del PNRR. Quest’ultima è apparsa come una delle repliche più efficaci da parte del segretario del Partito Democratico.
La settima domanda ha riguardato il mercato del lavoro. Enrico Letta ha proposto l’attivazione di un «contratto di primo impiego» per agevolare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, «eliminando gli stage gratuiti». Il segretario del Partito Democratico ha inoltre ribadito l’impegno nella lotta alla precarietà, aggiungendo che questo implica «l’introduzione del salario minimo per evitare che piu di 3 milioni di lavoratori guadagnino meno di 9 euro». Giorgia Meloni ha invece rilanciato la proposta di una deduzione del 120% per le aziende che assumono, sulla base del principio che «più assumi e meno paghi». La leader di Fratelli d’Italia ha però espresso il proprio scetticismo riguardo l’introduzione del salario minimo, oltre che sul reddito di cittadinanza: secondo Meloni sarebbe discriminatorio, perché avrebbe messo nella stessa situazione persone che non possono lavorare e altre che invece potrebbero.
L’ottava domanda ha riguardato il tema dell’immigrazione, sul quale è apparsa particolarmente evidente la distanza tra i due leader di partito. Meloni ha accusato gli ultimi governi di non essere riusciti a fermare l’immigrazione illegale, favorendo invece quella regolare, e ha detto che servirebbe un accordo negoziato tra l’Unione Europea e i paesi del Nord Africa per fermare la prima. Nello specifico, la leader di Fratelli d’Italia ha proposto l’avvio di una missione europea per trattare con i governi nordafricani per impedire le partenze dei barconi e per aprire direttamente in Africa degli hotspot per la gestione dei migranti. Letta ha replicato dicendo «vedo che finalmente non si parla più del blocco navale», e ha poi ribadito la necessità di riaprire le quote per l’immigrazione regolare e di introdurre lo ius scholae, che lega il riconoscimento della cittadinanza a un percorso scolastico per i minori che non ce l’hanno dalla nascita. I due si sono poi scontrati soprattutto sul giudizio nei riguardi degli atteggiamenti sull’immigrazione di altri paesi europei.
Il cosiddetto blocco navale è una delle proposte più controverse del programma di Fratelli d’Italia, la cui definizione, offerta da Meloni, appare soggetta ad interpretazioni non propriamente chiare, come ha sottolineato anche l’ex magistrato Carlo Nordio, candidato con Fratelli d’Italia per le elezioni del 25 settembre. Abbiamo scritto della dubbia fattibilità della proposta di blocco navale in un articolo del primo settembre, che si può leggere qui.
La nona domanda ha riguardato le riforme istituzionali e in particolare la proposta del centrodestra di una «elezione diretta del Presidente della Repubblica»: una riforma che trasformerebbe l’Italia da repubblica parlamentare a repubblica semipresidenziale.
Giorgia Meloni ha rilanciato la proposta di convocare una commissione parlamentare bicamerale (più comunemente nota semplicemente come “Bicamerale“), ovvero una specifica commissione per le riforme istituzionali. La leader di Fratelli d’Italia si è detta «favorevole ad un semipresidenzialismo alla francese, come quello che era stato immaginato anche dalla bicamerale presieduta da D’Alema». L’ultima bicamerale, infatti, fu convocata nel 1997 dall’allora Presidente del Consiglio Massimo D’Alema, che proponeva di introdurre proprio un semipresidenzialismo, oltre che la riduzione del numero dei parlamentari.
«La Costituzione ha salvato l’Italia per 75 anni. Io vado ogni tanto a rileggerla», ha replicato Enrico Letta, aggiungendo che «l’idea che venga stravolta la Costituzione è contraddetta dalla storia di questo anno e mezzo: con questo sistema Draghi e il governo Draghi hanno funzionato». Soprattutto riguardo quest’ultimo passaggio, la risposta di Enrico Letta è apparsa particolarmente debole oltre che in netto contrasto con l’ala riformista del suo partito. È legittimo essere in disaccordo con la proposta di semipresidenzialismo del centrodestra, ma addirittura sostenere che il nostro Paese non necessiti di riforme costituzionali e che la prova ne sia il governo Draghi, il cui operato è stato più volte ostacolato da una maggioranza fin troppo eterogenea (dalla quale è stato poi «esaurato», come ha sottolineato nella replica successiva Giorgia Meloni), sembra uno scivolone oltremodo goffo da parte del segretario del Partito Democratico.
L’ultima domanda ha riguardato il tema dei diritti civili, e in particolare delle coppie omosessuali, oggetto del botta e risposta probabilmente più significativo e che ha trovato maggiore risalto sui quotidiani nazionali. Meloni ha detto che le unioni civili «vanno bene così» ma di non essere d’accordo sul «diritto di adozione da parte delle coppie omosessuali». «Ritengo che a bambini che già sono stati sfortunati occorra garantire il massimo. E il massimo, dal mio punto di vista […], è avere un padre, una madre, stabilità nella coppia, quello che prevede la nostra legge, che cerca di offrire il massimo», ha detto la leader di Fratelli d’Italia. Letta è intervenuto per dire che «ai bambini bisogna dare amore», ma è stato interrotto da un’ulteriore replica di Meloni che gli ha detto: «L’amore non c’entra niente, lo stato non norma l’amore, Enrico Letta». «Appunto», ha risposto il segretario del Partito Democratico nella più efficace replica di un confronto in cui non ha brillato.
L’impressione condivisa è che il Partito Democratico abbia impostato una campagna elettorale sulla demonizzazione dell’avversario, nel tentativo più volte ribadito di far convergere gli elettori indecisi e spaventati dalla prospettiva di un eventuale governo guidato da Giorgia Meloni sul cosiddetto “voto utile”. Il dibattito di ieri appare come il fallimento della strategia del segretario Enrico Letta, che ha trovato di fronte a sé un avversario ben più moderato di quello che la campagna del Partito Democratico tenta di rappresentare agli elettori. Se l’atlantismo e l’europeismo che sfoggiano Fratelli d’Italia e la sua leader dovesse far parte di una strategia atta a tranquillizzare l’elettorato potrà dircelo solo il tempo. Nel dibattito di lunedì sera, comunque, la maschera di cipria della leader di Fratelli d’Italia ha retto, e ad Enrico Letta è mancato l’affondo che avrebbe dovuto piazzare nel tentativo di recuperare dal forte svantaggio che i sondaggi elettorali hanno finora evidenziato. Nessuno ha prevalso, e dunque ha vinto Meloni.
Parallelamente al confronto tra Enrico Letta e Giorgia Meloni, il leader di Azione Carlo Calenda ha organizzato una trasmissione del confronto tra i due leader sulle proprie pagine social di Facebook e Twitter, integrato dalle sue risposte alle domande poste da Luciano Fontana. Calenda aveva aspramente criticato la decisione del direttore Fontana di organizzare un dibattito coinvolgendo solamente due dei leader impegnati nell’attuale campagna elettorale in vista delle elezioni politiche del 25 settembre.