Nostalgia è il film designato per l’Italia per la selezione all’Oscar come miglior film internazionale. La pellicola di Mario Martone, dopo il successo al Festival di Cannes, è chiamata a vivere un nuovo viaggio, quello più importante di tutti.
“Sono felice e onorato, per me, per noi che l’abbiamo realizzato e per tutto il piccolo universo così umano in cui è nato Nostalgia”, ha commentato il regista Mario Martone.
La Recensione
“La coscienza sta nella nostalgia/Chi non si è perso non ne possiede“. Con questa citazione di Pasolini si apre l’ultimo capolavoro Martoniano con protagonista Pierfrancesco Favino che nel film è Felice Lasco, tornato a Napoli dopo essere scappato quarant’anni prima. Della città in lui è rimasto ben poco, non parla il dialetto anzi, quasi non lo capisce. C’è qualcosa nell’aria però che lo spinge a voler rimettere radici, nonostante tutti, ma proprio tutti, provino a dissuaderlo.
Felice Lasco è ostaggio della nostalgia dei tempi in cui scorrazzava per i vicoli insieme ad Oreste, il suo amico più caro (Interpretato da Tommaso Ragno ndr), diventato il simbolo della malavita e di quelle scelte sbagliate che l’hanno spinto ad allontanarsi anche dalla sua amata madre.
Scruta angoli e sguardi del rione Sanità, lo ritrova immutato nel tempo e non riesce a metterselo alle spalle, nonostante l’abbia già fatto, nonostante ci sia una vita, la sua nuova vita, che lo aspetta al Cairo. Felice vuole a tutti i costi rivivere Napoli, come se anche per lui il tempo si fosse fermato. Non accetta alcun cambiamento, anzi, tenta a tutti i costi di rivivere quello che per quarant’anni aveva trascurato. Emblematica e al tempo stesso devastante la scena in cui attraverso una spugna e un bagno caldo, voglia restituire dignità e serenità alla madre anziana.
A proposito di madri, la straordinaria Aurora Quattrocchi riesce con la sua empatia a far rivivere lo spettatore l’amarezza dei rapporti interrotti bruscamente e che, all’improvviso, riesci ti riappaiono davanti agli occhi come se il tempo si fosse fermato. Ma, in realtà, il tempo è sempre troppo poco per recuperare ciò che non è stato. Un’interpretazione malinconica e forte che non dimenticheremo.
Pierfrancesco Favino è chiamato in Nostalgia all’ennesima prova d’attore. Lui il napoletano inizia a parlarlo solo dopo aver riassaporato a pieno il sapore del rione. La sua voce, spesso rotta dalle lacrime, rende il suo cammino struggente, dal primo all’ultimo passo.
Oreste parla poco, ma per l’imponenza scenica e narrativa basta e avanza. Tommaso Ragno riesce a rendere umano un personaggio che dovremmo odiare (dall’inizio alla fine).
A Martone l’ingrato compito di lasciar trapelare la nostalgia dei tempi andati e la voglia di riviverli, con cautela, senza flashback forzati. A Favino e a Tommaso Ragno una sfida ardua: mostrarci un’amicizia viscerale, con sentimenti contrastanti, in sospeso, attraverso gli sguardi, le mani che raccolgono i capelli, pacche sulle spalle mancate, lacrime, sorrisi e amarezza.
Francesco Di Leva è Don Luigi, un parroco attivo nella lotta alle ingiustizie e ai soprusi della Camorra e dei suoi esponenti. L’attore napoletano dimostra ancora una volta di sapersi prestare a qualsiasi ruolo, senza mai risultare fuori posto e contesto. Anzi, Don Luigi in nostalgia rappresenta, attraverso le orazioni, le parole e i toni, la giustizia, quella che non necessita di nient’altro che della speranza di cambiare e di non adeguarsi al corso degli eventi, proprio come Di Leva ha sempre fatto, nella sua San Giovanni a Teduccio.
Ogni personaggio, da Artem Tkachuk a Salvatore Striano, passando per un immenso Nello Mascia, trova la sua giusta e puntuale collocazione nella storia tratta dall’omonimo e toccante romanzo di Ermanno Rea.
In Nostalgia il finale si aspetta con ansia e trepidazione, ma non si ha il coraggio di anticiparlo.
Ai titoli di coda si viene colpiti da un senso di smarrimento e amarezza. Ti ritrovi ad essere contagiato dalla nostalgia, anche se non sai esattamente di cosa. Martone, forse, conosce la risposta.
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