mercoledì, Ottobre 23, 2024
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Esame di Stato 2019: cosa cambia e perché gli studenti protestano

Di Anna Menale – Proteste in tutta Italia, confusione e rabbia da parte di studenti e professori per le nuove modifiche all’Esame di Stato: cos’è rimasto della scuola?

di Simona Lazzaro – Ai suoi albori era chiamato in via ufficiale “Esame di Maturità” e fu introdotto nel 1923 dal fascista ed allora ministro Giovanni Gentile. Da allora, la prova finale del secondo ciclo di istruzione secondaria – chiamato, dal 1997, per mano di Berlinguer, “Esame di Stato” – ha subito una serie incredibilmente numerosa di modifiche, per un totale di undici.

In particolare negli ultimi anni, si è affermata la tendenza a modificare l’Esame di Stato da parte di ogni governo: delle undici modifiche sopraccitate, ben otto hanno avuto luogo a partire dal 1994, creando, per studenti ed insegnanti, un clima di confusione ed agitazione che non giova a nessuna delle due categorie e che non avrebbe ragion d’essere.

Negli ultimi giorni è stata presentata dal governo grillo-leghista l’ultima serie di cambiamenti, scatenando le reazioni di tutto il corpo studentesco.

Cosa cambia all’Esame di Stato 2019

  1. Per essere ammessi all’Esame di Stato non è più obbligatorio avere sei in tutte le materie, ma basterà avere la media del sei – media in cui sarà compreso il voto di condotta;
  2. I crediti accumulabili durante gli ultimi tre anni del ciclo scolastico non saranno più solo venticinque ma ben quaranta;
  3. Sparirà la terza prova ed il tema d’italiano non vedrà più, tra le tracce proposte, quella a tema storico – questa modifica, già anticipata ad Ottobre 2018, aveva scatenato sin da subito numerose proteste;
  4. Non ci sarà più la tesina finale, l’elaborato che permetteva alla commissione di verificare l’effettiva comprensione degli argomenti studiati dallo studente. Invariata rimarrà invece la commissione d’esame, mista.

Le proteste degli studenti

Non si sono fatte attendere le proteste degli studenti che a Napoli, a Piazza del Plebiscito, hanno declamato: “La scuola è una prigione: costruiamo insieme un’uscita di sicurezza! No a questo esame di stato, no al regionalismo!”.

La frequenza quasi maniacale con cui vengono effettuate dai vari governi modifiche alla scuola ed in particolare all’esame di stato ci pone di fronte a numerosi interrogativi, ma soprattutto ci spinge a domandarci se, a prescindere da quanto siano opinabili e superflue le modifiche che vengono effettuate da ministri di diversa inclinazione e colore, questi continui cambiamenti possano davvero aiutare gli studenti o migliorare la scuola.

Dopo anni ed anni in cui le scuole sono state depauperate a livello economico e culturale, dopo l’introduzione di “alternanze scuola-lavoro” che spesso, anche se non sempre, sono degenerate in sfruttamento, siamo imperativamente costretti a chiederci quale sia lo scopo ultimo della scuola. Può mai la scuola ridursi ad essere apprendimento sterile di nozioni, da sciorinare, intimoriti, davanti ad una commissione di professori, senza poter e dover nemmeno presentare un progetto personale? E’ davvero forse la scuola superiore soltanto una serie di mura e banchi dove rimaner seduti aspettando di entrare nel mercato del lavoro? La cultura è qualcosa che deve rendere lo studente efficiente e più appetibile per le aziende che, forse, un giorno lo assumeranno?

La scuola non è un luogo – per fortuna, dato lo stato fatiscente in cui versano i suoi edifici – e non è nemmeno un labirinto di date e nomi da imparare a memoria. La scuola è il rapporto dialettico che si instaura tra i professori e gli studenti, un rapporto che non è di dominio e nemmeno di sudditanza, ma che consiste nello scambio di idee e cultura tra coloro che possiedono gli strumenti conquistati con lo studio e chi invece questi strumenti non li possiede ancora. Ma come è possibile instaurare un simile rapporto in una scuola che non possiede più alcuna forma, che prepara gli studenti non al pensiero ma ad un esame mai uguale a se stesso, che è stata impoverita nel senso e nei contenuti? Soffermarsi sulla modalità in cui si svolge un esame, in questo contesto di incertezza e perdita di focus da parte di studenti e corpo docente, non è forse come guardare il dito invece della luna?

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