Da dove nasce la musica trap? Come si spiega il suo successo in Italia? E quali sono peculiarità della trap napoletana?
La trap nasce negli Stati Uniti come derivazione del rap, precisamente dal Southern rap sviluppatosi negli stati meridionali degli USA e caratterizzato da un suono accattivante e ritmico.
È inizialmente (fine anni 90) associata a un luogo, le trap house, case abbandonate nei sobborghi di Atlanta dove si spacciavano sostanze stupefacenti (trapping significa in slang spacciare).
Sin dall’origine, il genere ha tra i temi centrali dei testi proprio l’uso delle droghe, che rimandano a uno stile di vita estremo, marginale e ribelle fino all’auto-distruttività. La trap inoltre canta la violenza della vita di strada nelle moderne metropoli, i ghetti, gli emarginati che tentano di farcela anche col crimine e con lo spaccio, vite maledette e disperate all’inseguimento del successo e dei soldi per fuggire dalla miseria. All’inizio trap indica la musica proveniente da questi contesti (le trap house) poi finirà per includere anche artisti e luoghi anche molto lontani dall’ambiente originario. In termini melodici la trap si sviluppa come sottogenere del’hip hop, servendosi soprattutto di sintetizzatori e drum machine per realizzare melodie ripetitive e ipnotiche.
L’arrivo della musica Trap in Italia
In Italia la trap arriva negli anni 10 e si afferma definitivamente dal 2015. La trap italiana riprende i temi della marginalità, della ricerca spasmodica di denaro e successo, del consumo intensivo delle droghe, della sessualità esibita e spesso superficiale. Le origini italiani del genere prendono forma sulla scena musicale milanese e si identificano con Il ragazzo d’oro di Guè Pequeno (in realtà ancora alternative rap) e, soprattutto, con XDVR di Sfera Ebbasta.
Nell’area napoletana la trap è una galassia pulviscolare e complessa che si carica di valenze sociali e antropologiche, assenti nelle altre realtà italiane, che la connotano specificamente e la inseriscono in un discorso musicale e culturale che viene da lontano. La trap napoletana si nutre di realtà, narra la marginalità delle periferie e la dimensione del disagio sociale e della criminalità pervasiva, vera cultura del quotidiano in diverse zone della città.
Questa natura di realismo e di autenticità scrosta la trap partenopea dalla ripetitività e dalla superficialità di buona parte della produzione italica. I luoghi ormai comuni dei soldi, del successo, della droga e del sesso, qui assumono i caratteri del tentativo di fuga dal degrado sociale, attraverso la narrazione della difficoltà di vivere contesti feroci e rapporti umani spesso violenti, alterati, estremi eppure consueti e accettati.
La trap napoletana
Molti trapper italiani appaiono artefatte anime dannate, finti trasgressivi di mestiere, alla ricerca del consenso di adolescenti in crisi di identità a confronto con l’autenticità e la durezza della trap napoletana. Secondigliano, Scampia, la Gomorra quotidiana, l’atroce periferia napoletana, i palazzoni di cemento, alveari umani senz’anima e senza possibilità, sono i luoghi dove i trapper partenopei sono cresciuti e la deriva che alimenta i loro testi è una testimonianza vissuta e non un artificio letterario.
Sembra che Napoli recuperi le origini socio-culturali delle trap house americane, in cui stile di vita e rap erano la stessa cosa. Amicizie salvifiche e traditrici, amori appassionati e primitivi, pistole e sangue, vite deragliate e condannate, le leggi della strada e il rispetto da conquistare, una umanità autentica, estrema e intimamente dolente sono le realtà vissute e rappresentate dai trapper del Vesuvio.
Secondigliano regna di Enzo Dong è un inno capovolto e tragicamente ironico della realtà; Dong sta per Dove Ognuno Nasce Giudicato con un chiaro riferimento alle vite segnate delle periferie. Aro stat e cas di Vale Lamb racconta nitidamente la quotidiana vita criminale del quartiere. Lele Blade intona “nisciun c cumann, bella vita pecchè amma avut ‘na vita e carenz” riferendosi alla fame di un lusso effimero e pacchiano che consuma giovanissime vite a Scampia, Don Guanella, Miano e in tutte le periferie metropolitane.
E poi Lucariello, Geolier, Blair, MV Killa, col sound accattivante di Yung Snapp, che rimano su “uaglioni e miez a via”, nichilisti e disperati senza alcuna falsa ideologia di riscatto sociale. Eppure questo fenomeno musicale non è così estemporaneo e “nuovo” come potrebbe apparire a un primo approccio, la trap napoletana non è difatti evento musicale legato alla tendenza del momento ma si innesta su una lunga tradizione e declina, in modo innovativo, temi antichi della musica popolare napoletana. Gli amori difficili e contrastati cantati dai trapper Pepe o Nicola Sicilano oggi, contengono le passioni estreme della sceneggiata di Mario Merola ad esempio.
Il legame della trap napoletana con il neomelodico e il rap politico e sociale
Così come risulterebbe incomprensibile il fenomeno trap senza il ruolo e l’azione musicale dei neomelodici, di cui molti trapper sono figli illegittimi attraverso una figura simbolica come Franco Ricciardi, neomelodico di grido ieri, trapper di Gomorra oggi. Già i neomelodici narravano di latitanti, vite violente, contesti urbani marginali e degradati, amori assoluti e impossibili, tra la cronaca sociale e il trash. Neomelodici che, a loro volta, dovevano tanto a un’icona popolare come Nino D’Angelo che, per primo, aveva posto le basi di una canzone popolare diretta e immediata, con melodie semplici e accattivanti.
Non è secondaria inoltre l’opera di rinnovamento della melodia napoletana da parte di due grandi tendenze degli anni 90-2000: il rap politico e sociale, di cui i 99 Posse sono stati l’emblema, e il rap della marginalità e della rabbia, vero anticipatore della trap, dei Co Sang, di Fuossera e de La famiglia. La trap napoletana è all’interno di una tradizione antica e importante, di cui a suo modo rappresenta un’evoluzione e un possibile approdo. Occuparsi della trap partenopea significa, da un lato, comprendere la musica popolare napoletana, dall’altro i fenomeni socio-culturali che la sottendono.
Articolo di Michele Salomone